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18 maggio

Oggi, ma nel 1990, a Napoli, sicari della camorra, che rimarranno ignoti, come il mandante, nonostante il tortuoso iter giudiziario, per uccidere Gennaro Pandolfi, di 29 anni, autista del boss Luigi Giuliano, detto “Lovigino il Re”, di Forcella, assassinavano anche il figlio Nunzio Pandolfi, di 18 mesi.

Proprio per l’eliminazione del bambino - per l’occasione venivano sparati 14 colpi calibro 9 e 22 - durante il funerale, il prete Franco Rapullino, parroco della chiesa di Santa Caterina a Formiello, urlerà: «Fujetevenne ‘a Napule» ovvero scappate da Napoli, perché la città si è arresa alla camorra (nella foto, particolare, la cerimonia funebre e il disperato invito del curato nell’articolo del quotidiano milanese “Corriere della Sera”, scritto da Enzo D’Errico, del 22 maggio di quel 1990). L’uscita del sacerdote, davanti alla piccola bara bianca, destava enorme scalpore, non solo all’ombra del Vesuvio, ma in tutto il Belpaese. Gennaro Pandolfi, ufficialmente venditore ambulante, aveva avuto Nunzio da Vincenza Esposito, quando aveva già una famiglia che aveva abbandonato.

Il duplice omicidio avveniva nella casa della mamma di Vincenza, in vicoletto San Vincenzo alla Sanità, davanti ai parenti, mentre Nunzio era tra le braccia del padre, intento a mangiare la pizza. Erano in corso i festeggiamenti per il ritorno di Gennaro dall’ospedale. La corsa in nosocomio e la tentata operazione non saranno salvifiche. Il fatto di sangue rimarrà senza un colpevole assicurato alla giustizia.