Seritti: «Identità e passione Siamo l’Atalanta del rugby» 

Il presidente marsicano: «Progetto iniziato 10 anni grazie a un gruppo di amici Valorizziamo i ragazzi del vivaio e vogliamo diventare un punto di riferimento»

AVEZZANO. Chiamatelo laboratorio Avezzano. Quasi 10 anni fa un gruppo di 45 amici si è messo attorno ad un tavolo, ha buttato giù un progetto, ha reperito risorse economiche, è partito dalla serie B e nel giro di qualche anno ha realizzato il sogno di approdare in serie A1. L’Isweb Avezzano Rugby domenica ha battuto il Livorno in casa, conquistando il terzo posto del girone 3 di serie A, che ha spalancato le porte dell’A1. Il successo viene certamente dal talento dei giocatori, ma anche dal lavoro della società guidata da Alessandro Seritti che si è raccontato al Centro dopo la grande festa di domenica pomeriggio andata in scena allo stadio Trombetta, davanti a più di 1.000 spettatori in delirio per il trionfo dei marsicani.
Presidente Seritti, a chi dedica questa promozione in serie A1?
«A tutti coloro che in 47 anni di storia del rugby ad Avezzano hanno dedicato tempo, passione e denaro. Questa è la vittoria di tutti, non solo la mia che sono solo l’attuale presidente della società».
Come e quando è nato questo trionfo?
«Quasi 10 anni fa, grazie ad un gruppo formato da 45 amici che ha deciso di rilanciare il rugby ad Avezzano. Questi amici, me compreso, con varie esperienze nel mondo del rugby e tanti ex giocatori, hanno iniziato a lavorare ad un progetto. Dieci sono diventati consiglieri con delega e ognuno di loro si è occupato di un settore specifico della società. Siamo nati per puro spirito di divertimento senza scopi di lucro, partendo dalla serie B e, nel giro di 9 anni, centrando due promozioni. Questa è la seconda».
La squadra che ha centrato la promozione in che modo è stata costruita?
«In modo semplice: senza follie economiche e puntando molto sui ragazzi del vivaio e, per un buon 70 per cento, su giocatori abruzzesi. Di stranieri ne abbiamo cinque, due sudafricani e tre italo-argentini. A luglio quando abbiamo saputo della riforma dei campionati, con la creazione della serie A1, che farà da cuscinetto all’A2 e alla serie Serie A Elite, abbiamo deciso di puntare alla promozione e ci siamo riusciti. Abbiamo praticamente conservato l’intelaiatura della passata stagione, andando a mettere in rosa i vari Nxele, Pais, Potocar, Basha e Cuesta».
I meriti sono anche dello staff tecnico?
«Assolutamente sì. Il capo allenatore Vincenzo Troiani è con noi da diverso tempo e si è occupato del settore giovanile fino all’anno scorso, quando è passato in prima squadra. Questa è la sua vittoria, insieme ai tecnici Pierpaolo Rotilio e Roberto Quartaroli. Tutto lo staff è confermato anche per la prossima stagione».
Durante la stagione c’è stata una partita che ha segnato la svolta per la sua squadra?
«Sì, il 14 gennaio, quando abbiamo vinto a Livorno. Da quella partita è iniziata la cavalcata vincente».
L’arma in più qual è stata?
«Il gruppo. Nel rugby “uno è nessuno”, in questo sport si vince con la forza dell’intera squadra e così è stato. Va fatto un plauso a tutto il gruppo che è stato capace di tenere alta la concentrazione fino alal fine della stagione».
La città vi è stata vicina?
«Moltissimo, sia in termini economici che di presenze allo stadio Trombetta. Il tessuto imprenditoriale si è stretto attorno a noi, come i 500 spettatori di media che abbiamo avuto durante il campionato, fino ai 1.000 di domenica scorsa quando siamo stati promossi in A1».
Il vostro stadio è pronto per la serie A1?
«Certo, le nostre strutture sono un fiore all’occhiello. Abbiamo preso la gestione ventennale dello stadio del rugby, creando un centro sportivo che in pochi hanno nel centro-sud. Ci sono due campi di allenamento, una palestra, una club house di oltre 200 metri quadrati».
La squadra e gli impianti sportivi ci sono, quindi ora si può puntare alla Serie A Elite?
«Calma, non esageriamo. L’obiettivo è la salvezza, per l’Elite occorrono sforzi economici differenti e una programmazione diversa. I tempi non sono maturi per fare un passo del genere».
Sarà il vostro sogno del cassetto?
«No, noi non vogliamo lucrare, ma solo diventare un punto di riferimento sportivo e sociale per i ragazzi del territorio. Oltre ai rugbisti del domani, vogliamo formare uomini con sani principi. Dalla prima squadra all’under 6 ci sono oltre 300 tesserati. Abbiamo una foresteria in centro città che ospita i ragazzi che vengono da fuori e gli stranieri che sono in prima squadra. È questa la più grande vittoria per la società».
Facendo un paragone con il calcio, seguite molto il modello che fu il Chievo, in serie A, ma anche quello del Sassuolo e dell’Atalanta.
«Sì, è vero, assomigliamo ad una piccola Atalanta, però qui facciamo tutto noi e, come ho detto, non abbiamo intenzione di guadagnare dal rugby».
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