Il 32° MaggioFest a Teramo apre con “Caprò”, eroe tragico di una piccola storia universale

TERAMO. Edoardo Oliva e l’eroe tragico Caprò aprono il 32° MaggioFest, la rassegna di primavera organizzata a Teramo dall’associazione culturale Spazio Tre con la direzione artistica del regista...

TERAMO. Edoardo Oliva e l’eroe tragico Caprò aprono il 32° MaggioFest, la rassegna di primavera organizzata a Teramo dall’associazione culturale Spazio Tre con la direzione artistica del regista Silvio Araclio. Spettacolo emozionante, in replica da anni con molto successo nei teatri abruzzesi e in tutta Italia, “Caprò” andrà in scena oggi allo Spazio Tre Teatro (inizio alle 21). Vincenzo Mambella è l’autore della pièce di cui Oliva è il vìbrante interprete nonché regista. Scenografia Francesco Vitelli, con Oliva, produzione Teatro Immediato e Teatro Stabile d’Abruzzo. «Un lavoro importante, che propone la grande prova attoriale di Edoardo Oliva», ha detto Araclio presentando la pièce, che vede protagonista un contadino cresciuto nell’amore freddo dei genitori e nell’attaccamento viscerale alla terra. La sua vicenda tragica, sempre ai margini della consapevolezza, incrocia l’immane tragedia del naufragio del bastimento Utopia nel 1891 al largo di Gilbilterra, su cui emigravano verso l'America 600 italiani, tra i quali 12 contadini abruzzesi di Fraine. «Una storia, quella di “Caprò” che non rompe completamente il muro dell’oblio, non approda sui libri» si legge nelle note di regia di Oliva, uomo di teatro a tutto tondo, attore, autore, regista, organizzatore di festival e rassegne, fondatore a Pescara del Teatro Immediato e dello spazio Nell’Immediato – Enzo Spirito. «Una storia che inghiotte le piccole storie delle tante trascurabili vite di cui si nutre per garantirsi la perpetuità, le cui umanità, piene delle bellezze e delle bruttezze di ogni esistenza, si perdono per sempre. Non abbiamo voluto raccontare il naufragio dell’“Utopia“, che tanto ricorda gli accadimenti tragici che ogni giorno apprendiamo dalla cronaca, tenendoci lontani dalla retorica che spesso accompagna il racconto di quelle tragedie. Il fatto storico e l’emigrazione restano sullo sfondo. Partendo da quei fatti e da un substrato arcaico, senza nessuna pretesa storica o simbolica, abbiamo cercato un approdo che rendesse questa piccola storia, così lontana nel tempo, nella sua essenza archetipica, universale. Lo smarrimento di un solo uomo, pertanto, una solitudine, un anonimo contadino di fine Ottocento che si agita su un fazzoletto di terra con i pochi oggetti che scandiscono la sua vita. È sul quel pezzo di terra che si compie il suo vero naufragio in attesa di quello che lo consegnerà alla storia». (afu)