Abruzzo, riforme in cerca d'autore

di Sergio Baraldi

La crisi del “Patto per il lavoro“ emerge con chiarezza. Non solo i piccoli imprenditori, la larga maggioranza delle nostre imprese, ha disertato il tavolo, ma l’insoddisfazione sembra lievitare anche dentro Confindustria. Il presidente Marramiero, nella sua intervista di oggi, sottolinea alcuni punti critici. Altre organizzazioni territoriali si dichiarano ancora più scontente della attuale gestione e premono perché si cambi. Se finora si è evitata una frattura, è perché il presidente regionale Angelucci continua a interpretare il suo ruolo come di un mediatore con la politica, mentre alcuni suoi colleghi hanno compreso che si è aperta una fase nella quale con la politica si deve discutere secondo regole e con obiettivi nuovi. Anche i sindacati faticano a uscire da un modello in cui quella stanza non è il luogo in cui si discute di progetti e strategie, ma una stanza di compensazione in cui il presidente regionale fa balenare fondi che poi non ci sono o non arrivano e riesce a dividere gli attori, in pratica condannandosi all’immobilismo. Ma d’immobilismo si muore. E i sindacati si accorgeranno presto che c’è ben poco da distribuire. Mentre il “Patto del lavoro“ si riunisce per le sue burocratiche sedute, la Honda annuncia cassa integrazione. Loro parlano e il Patto diventa, ogni giorno che passa, il “Patto del non lavoro“. Sono state le organizzazioni dei piccoli imprenditori ad avere il coraggio di squarciare il velo.

Possono averlo fatto, qualche volta, con motivazioni non sempre condivisibili. Ma i nostri piccoli "capitani coraggiosi" sono in prima linea e non hanno torto quando denunciano l'inerzia della Regione e l'inefficacia di uno strumento che sarebbe utile allo sviluppo, ma che gira a vuoto. Qualche giorno fa il presidente della De Cecco, Filippo Antonio, una delle nostre poche multinazionali tascabili sulle quali dovremmo investire di più come sistema, ha spiegato nella convention della sua azienda a Roma: "Non è la ripresa che ci deve trascinare, ma noi che la trasciniamo". Ecco un esempio di mentalità giusta che proviene dal vertice del mondo imprenditoriale che l'Abruzzo dovrebbe osservare con attenzione. La De Cecco, infatti, sa annodare i fili della tradizione con quelli dell'innovazione, scommette sulla qualità e sull'internazionalizzazione. Una storia di successo che il territorio dovrebbe sentire di più come una sfida da imitare. Il segnale che arriva dalla De Cecco ci spinge a guardare con moderato ottimismo al futuro: nella società abruzzese, lentamente, si sta creando una "constituency" delle riforme, secondo un termine inglese che indica sia il collegio elettorale che gli elettori.

Piccoli imprenditori, grandi imprenditori, professionisti, docenti, lavoratori dipendenti, emerge un insieme di cittadini il cui peso sale che hanno fiducia in un programma di cambiamento. L'Abruzzo non è condannato alla stagnazione di questi ultimi tempi, ma sta giocando una partita difficile. Il rischio è che mentre l'Italia, sotto al guida di Monti, intraprende un complesso percorso di cambiamento e di ripresa, la nostra regione resti ferma. Non si candidi a stare tra i territori che usciranno vincenti dal tunnel della crisi, ma tra quelli che resteranno indietro. Per l'Abruzzo la posta è non ricadere nel girone meridionale. Gli interessi e i ceti che trarrebbero beneficio dalle riforme sono più diffusi di quanto appaia, ma finora sono rimasti in disparte, hanno taciuto, o hanno ceduto il passo a presidenti troppo subalterni alla vecchia politica. Le cose però mutano. Anche perché si diffonde la consapevolezza che la trasformazione della regione può dare benefici anche a coloro che temono di perdere i propri vantaggi. Lo scenario globale, infatti, impone la sua legge: se perdiamo, qui perdiamo tutti.

Quello che fa sperare, quindi, è che si allarghi lo spazio di coloro che si mobilitano e che pensano che cambiare in Abruzzo sia possibile. Si tratta di persone e ceti che guardano sia al centrodestra sia al centrosinistra. La "constituency" delle riforme è trasversale. Ed è bene sia così: deve appartenere a tutti. La partita oggi non è tra due schieramenti, ma tra innovatori e conservatori che stanno in entrambi i campi. L'idea che continuare a officiare riti privi di significati, come il "Patto del lavoro" di oggi, chiudersi a difesa di prassi non più sostenibili, o rimanere legati ai propri vizi e limiti, tutto ciò si trasformi in un fallimento collettivo, sembra fare proseliti. Non c'è dubbio che una classe dirigente incapace di anticipare le riforme si sia assunta la responsabilità di una sconfitta. Da questo punto di vista, la politica si trova nell'occhio del ciclone. Tutti hanno errori da rimproverarsi. Non solo per gli scandali di questi giorni, che confermano la crisi di legittimazione e di credibilità. Conta anche la difficoltà a governare il cambiamento e a leggere la modernità come un'opportunità per la regione. E' la politica che si rifugia nel vecchio metodo elettorale- clientelare che sta diventando un vincolo per il territorio.

Dispiace dirlo, ma la giunta regionale, il suo presidente, e parte della maggioranza di centrodestra hanno la responsabilità di aver scaricato sui cittadini i costi della mancanza di strategia contro la crisi e di visione. La politica regionale è fatta anche da parlamentari, consiglieri, forze politiche pronte a impegnarsi per ridare slancio alla crescita, sia nel centrodestra sia nel centrosinistra. Ed è a questa politica, ovunque si collochi, che occorre dare fiducia. L'Abruzzo ha bisogno di buona politica. Occorre delineare un'agenda riformatrice che raccolga il più largo consenso nell'opinione pubblica e la passione di agire per il bene comune. Tra questi obiettivi c'è senza dubbio quello di riportare l'attuale mediocre "Patto del non lavoro" sul binario di un innovativo laboratorio di strategie condivise, che aggredisca le cause del declino regionale. La priorità dovrebbe essere la crescita. Ha ragione Marramiero. Nella società si avverte la speranza di un cambiamento reale, occorre fare in modo che germogli. C'è bisogno del dialogo tra le forze responsabili. Volete chiamarla riforma liberale? Volete chiamarla nuova stagione? Proprio De Cecco ha citato una bella frase di Winston Churchill: "Non sempre cambiare significa migliorare, ma per migliorare bisogna sempre cambiare". E' il dilemma nel quale siamo impantanati da troppo tempo.

Le riforme sono in cerca di un autore politico. La durezza dei tempi richiede di unire le forze, di mettere momentaneamente da parte la competizione per fare un inedito gioco di squadra per la collettività. Tornare a crescere, ma come? Le indicazioni che ci vengono da economisti come il professore Mauro e il professore Sarra, che oggi interviene con un interessante articolo sui trasporti, sembrano offrirci alcune parole chiave attorno a cui cucire le ricette per lo sviluppo. La prima è "selezione". Che non significa solo merito, ma soprattutto valutare le forze economiche e sociali in modo tale che vadano laddove siano più produttive. Selezionare significa chiudere l'epoca della distribuzione a pioggia, che non reca beneficio alla società. Non possiamo più permetterci politiche pubbliche che diano qualcosa a qualcuno spesso ben identificato o tutto a tutti; occorre scegliere dove indirizzare le poche risorse per la crescita. E' un'opera complicata, perché non si tratta solo di tagliare i rami improduttivi, ma di aiutare quelli che hanno scelto di crescere verso l'esterno. Quindi, selezionare il dinamismo. E' quello che De Cecco ci racconta con la sua azienda. Selezionare non deve diventare un'operazione ideologica, ma il risultato di una visione d'insieme che indichi obiettivi credibili, sacrifici possibili, accordi da stipulare. La selezione implica necessariamente altre due parole chiave: mercato e valutazione. Vale a dire, aprire di più il sistema regionale alla concorrenza, alla proiezione internazionale, alla valutazione oggettiva dei risultati.

E' una cultura lontana dal "tutto si aggiusta", ma la società abruzzese sembra più disponibile a percorrerla in nome dello sviluppo. Per riuscirci dobbiamo mettere in campo non solo idee e visioni, occorre credibilità. Le risorse sono scarse, ma il capitale umano per spezzare il circolo dell'immobilismo non manca. Non c'è un leader che guidi; non c'è un "imprenditore politico" che scommetta sull'innovazione. Tocca alla società scuotere il sistema per far emergere un Monti per l'Abruzzo. E dimostrare che il declino non è un destino.

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