Ricercatori delle università di Perugia e Milano e dell’Eim arrivano a un’importante scoperta

C’è vita nel ghiacciaio del Calderone Microrganismi polari sul Gran Sasso

PESCARA. Un’altra importante scoperta scientifica ha avuto come teatro il Gran Sasso, a tre giorni di distanza dalla rivelazione dei geoneutrini avvenuta nei Laboratori sotterranei della montagna abruzzese, nell’ambito dell’Operazione Borexino. Se quella scoperta scaturiva dalle viscere del Gran Sasso questa arriva dalla sua superficie: una ricerca condotta dalle università di Perugia e di Milano e dall’Eim (Ente italiano della montagna) ha rivelato che il ghiacciaio del Calderone sul Gran Sasso ospita microrganismi polari.

Per lungo tempo gli ambienti glaciali, come l’Artide, l’Antartide, i ghiacciai polari ed alpini, sono stati considerati così inospitali da essere ritenuti virtualmente privi di vita. Nei ghiacciai sono presenti condizioni tali da rendere la vita microbica estremamente difficile, se non impossibile: assenza di luce, temperature spesso al di sotto dello zero, scarsità di ossigeno e di nutrienti ed elevate pressioni. Tuttavia, alcuni microrganismi sembrano in grado di vivere nonostante condizioni così difficili.

Lo studio è stato condotto sul ghiacciaio del Calderone dai tre gruppi di ricerca coordinati da Pietro Buzzini, docente di Microbiologia applicata all’università di Perugia, Claudio Smiraglia della Statale di Milano, e Massimo Pecci dell’Eim.
Le ricerche hanno messo in evidenza la presenza di cellule vive di lieviti intrappolate nel ghiaccio e nei sedimenti glaciali, mettendo così in luce la presenza di vita microbica in ambienti tanto inospitali da essere definiti estremi. La presenza di questi microrganismi psicrofili (cioè in grado di vivere a bassissime temperature) è risultata estremamente diffusa in questi ambienti, grazie alla loro elevata capacità di sopravvivenza, probabilmente dovuta a specifici meccanismi di adattamento fisiologico.

Dallo studio (i cui risultati saranno a breve pubblicati sulla rivista scientifica Fems Microbiology Ecology), inoltre, è emerso che alcune delle specie di lieviti presenti sono state precedentemente osservate in ambienti polari, cioè in Artide e Antartide. Un dato, questo, sorprendente perché il ghiacciaio del Calderone, il più meridionale d’Europa, è considerato un ghiacciaio in via di estinzione. La scoperta di lieviti psicrofili in questo ambiente getta nuova luce sulla permanenza di habitat glaciali alle basse latitudini, tipiche degli ambienti mediterranei.

Il ghiacciaio del Calderone si trova nel territorio della provincia di Teramo, tra i 2630 e i 2830 metri sopra il livello del mare ed è, con la sua latitudine di circa 42º N, il ghiacciaio più meridionale d’Europa. Ha conquistato questo primato solo nel Novecento, dopo l’estinzione del ghiacciaio del Corral del Veleta nella Sierra Nevada in Spagna. Attualmente lo spessore massimo di ghiaccio sul Calderone è di 25 metri circa. Il ghiacciaio del Calderone si formò probabilmente durante le grandi glaciazioni del Quaternario.

All’epoca il ghiacciaio occupava tutto il Vallone delle Cornacchie e arrivava fino al punto dove oggi si trova il Rifugio San Nicola a quota 1665 metri. Con ogni probabilità sarebbe scomparso dopo le grandi glaciazioni per riapparire, in dimensioni ridotte, intorno al Quattrocento a causa dell’irrigidimento improvviso del clima.
Uno dei coordinatori di questa ricerca, Pietro Buzzini, racconta così al Centro la scoperta: «Questo è uno studio che si inquadra in un filone di ricerca che va avanti da anni sugli ecosistemi glaciali».

«Questi microrganismi», prosegue lo scienziato, «gli psicrofili, sono capaci di sopravvivere e crescere a bassissime temperature ed è perciò sorprendente che siano stati rintracciati nel ghiacciaio più meridionale d’Europa che da molti era ormai considerato quasi estinto».
Lo studio, oltre a presentare i risultati e i contenuti conoscitivi della scoperta, soprattutto per le implicazioni ecologiche, «evidenzia», si spiega in una nota congiunta del Eim e del Parco Gran Sasso e Monti della Laga, «ancora una volta, la peculiarità dell’ambiente d’alta quota del Gran Sasso d’Italia, in cui non soltanto il ghiaccio e la roccia sono gli oggetti di studio privilegiati nel laboratorio naturale più alto degli Appennini, ma la vita stessa, nelle sue forme più piccole e semplici».

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