L'intervista

"Confindustria ferma, L’Aquila frena su tutto"

L’ex presidente della territoriale di Chieti Paolo Primavera: «Necessario fare la fusione regionale Ma il capoluogo di regione è un problema anche dal punto di vista politico»

PESCARA. Presidente Paolo Primavera Confindustria nazionale minaccia di commissariare l’Abruzzo perché non riuscite a eleggere il nuovo presidente regionale.

«E’ una cosa che mi rattrista».

Perché è così complicato portare a termine questo passaggio associativo?

«C’è di mezzo la storia della fusione. Sette o otto mesi fa alla scadenza del mandato di Mauro Angelucci avevo espresso una posizione precisa. Ero disposto a candidarmi presidente nell’intento di fare la fusione subito, in tempi rapidi perché è quello che chiede la base, cioè le nostre aziende».

Ma di fusione oggi non si parla. Le associazioni di Teramo e L’Aquila non la vogliono, l’hanno bocciata.

«Penso che in quel caso ha prevalso un gioco verticistico, l’idea di mantenere il diritto di rotazione sul regionale...»

In base alla rotazione il presidente toccherebbe a Teramo. E poi Teramo l’ha offerta all’Aquila.

«E così non si pensa a quello che vogliono le imprese. Per far rimanere la cosa agli atti io ed Enrico Marramiero (al tempo rispettivamente presidenti di Confindustria di Chieti e Confindustria Pescara, ndr.) portammo in giunta un progetto di fusione già fatto, completo in tutti i passaggi e nella cronologia, in modo che nessuno accampasse la scusa che non ci fosse uno straccio di carta su cui discutere. E noi abbiamo preteso che su questo progetto si votasse, perché non volevamo che poi si dicesse che lo sfascio di Confindustria Abruzzo dipendesse da Chieti Pescara».

Perché la fusione è così importante?

«Oggi quasi tutte le deleghe e le competenze di interesse confindustriale sono di carattere regionale. Qualsiasi cosa, compresi i fondi europei. Non ha più senso avere le quattro confindustrie (adesso tre con la fusione Chieti Pescara) che si occupano delle stesse cose».

È una riforma che sollecita a che Confindustria nazionale.

«Sì, però oggi noi dobbiamo guardare soprattutto in casa nostra e rendere più efficiente il sistema. A me già i due anni di tempo previsti dal nostro progetto di fusione sembrano lunghissimi, eppure non siamo riusciti a farlo digerire a Teramo e L’Aquila. Ma restare così è assurdo, anche dal punto di vista operativo: in Confindustria Abruzzo c’è un direttore e due dipendenti. Le sembra possibile con tutti i temi regionali da gestire? Allora facciamo una struttura unica, con personale adeguato dove ognuno si occupa di un settore senza repliche inutili».

Teramo e L’Aquila temono di essere egemonizzate da voi?

«Temono che Pescara possa prendere il sopravvento. Ma il problema di fondo è L'Aquila».

In che senso?

«L’Aquila ha una paura tremenda di perdere centralità, anche in senso politico (da qui si capisce anche la legge di D’Alfonso su L’Aquila capoluogo). È una paura che si porta dietro da decenni. L’Aquila ha sempre temuto il polo costiero di Chieti e Pescara e ha sempre fatto le barricate indebolendo la strategia di questa regione».

Non le va bene L’Aquila capoluogo?

«Vogliono ribadire che sono la città capoluogo? Bene, però devono smetterla di pensare solo al capoluogo. Ha mai visto il sindaco dell’Aquila o i deputati aquilani che si occupano del resto dell’Abruzzo? Che pensare di un sindaco che vuole un aeroporto all’Aquila? Ha mai visto Cialente a Chieti, Pescara, Teramo?

Cialente venne a Pescara quando vinse D’Alfonso, ricorda?

«Ma ha avuto bisogno di qualcuno che gli indicasse la strada (ride). Non si occupano neanche della loro provinca dove ci sono città come Avezzano e Sulmona più proiettate a livello regionale. Ecco, questo è il meccanismo che si è riprodotto dentro Confindustria».

La giunta dell’associazione dovrà riunirsi a breve, cosa si aspetta?

«Spero che scelgano un presidente che abbia le idee chiare nel fare la Confindustria unica regionale. Se non sarà Così Chieti Pescara se ne andrà per i cavoli suoi».

Intende che non verserete più le quote al regionale?

«Il minimo indispensabile per tenerlo in vita».

Al momento c’è un solo candidato: Fabio Spinosa Pigue ex presidente dell’Aquila.

«Ma la sua territoriale gli permetterà di avviare la fusione? Non credo, anche se lui lo volesse e ne fosse convinto».

E così torniamo al problema dell’Aquila, a quello politico, intendo.

«Ripeto, L’Aquila si deve rendere conto che o fa il capoluogo di tutta la regione oppure per me, se la città non riesce a gestire la pressione del resto dell’Abruzzo, può anche andarsene col Lazio. Tra l’altro gli aquilani lavorano più su Roma e se ne fregano della costa, anche perché i collegamenti sono ridicoli, la strada L’Aquila-Pescara grida vendetta».

Non è ingeneroso verso una città che vive ancora problemi immani?

«Vogliamo parlare della ricostruzione post-terremoto? Sa quanto si è speso fino a oggi sull’Aquila? Dodici miliardi. Dovevamo assistere a un picco di sviluppo economico e invece i dati, a partire da quelli sull’occupazione, sono drammatici».

E questo fallimento lei lo imputa alla classe dirigente aquilana?

«Alla loro tendenza all’isolamento che purtroppo il terremoto ha accentuato. E D'Alfonso non deve fare l’errore di avallare questa situazione».

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