Farindola, oggi la fiaccolata: «Vogliamo verità e giustizia»

I familiari delle vittime si uniscono in comitato «per essere più forti». Oggi alle 13 il raduno al campo sportivo, poi il corteo e alle 16 la messa a Rigopiano

FARINDOLA. Oltre al dolore, la paura di essere dimenticati, abbandonati. E di non arrivare a vedere chi pagherà, e se pagherà, per il disastro che due mesi fa gli ha tolto figli, fidanzate. Madri e padri.
Sono la paura e il dolore, ancora e per sempre, a portare oggi i familiari delle 29 vittime della valanga di Rigopiano lì dove hanno perso tutto, a 500 metri dall’hotel maledetto, alla fine del corteo organizzato dall’amministrazione di Farindola con bus navetta pronti a partire dalle 13 dal campo sportivo, per la fiaccolata alle 15 e la messa alle 16, prima della triste deposizione di fiori sotto l’insegna del resort a quattro stelle. L’unico pezzo, di quel sogno, rimasto in piedi.

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«Era la grande famiglia di Rigopiano», dice Angela Spezialetti da Atri, la mamma di Cecilia Martella che al resort faceva l’estetista e che il 6 aprile avrebbe compiuto 25 anni.
«In quei giorni di neve e maltempo eravamo isolati anche ad Atri, senza luce, senza telefono, senza Internet. Il sabato mio marito, per paura del ghiaccio, aveva accompagnato lui Cecilia al lavoro. Il giorno della valanga proprio il padre era riuscito a trovare un punto fuori casa per aggiornarsi con Cecilia dopo il terremoto. Lei ci disse che c’era stata una scossa forte, che aveva tremato tutto mentre era al lavoro sotto alla spa, e che si erano spostati. L’ultima foto (a destra) ce l’ha mandata via whatsapp alle 16,46, due minuti prima della valanga, è la foto di due suoi colleghi, Damme e Gabriele credo, che scavalcano dalla finestra del ristorante per andare ad aiutare fuori Fabio che scaricava il pellet». E che sono morti lì fuori due minuti dopo. «Hanno fatto la morte del topo», ripete mamma Angela, che oggi sarà al corteo con il marito e gli altri due figli, con il fidanzato di Cecilia e la sua famiglia e con tutti quelli che vorranno sottoscrivere la loro richiesta: «Che la giustizia faccia il suo corso. In questi due mesi nessuno ci ha fatto sapere niente», denuncia, «ed è il silenzio a spaventarci, soprattutto dopo la notizia che il procuratore Tedeschini sta per andarsene. Che vuol dire, cosa succederà? La nostra paura è che finisca tutto a tarallucci e vino, perché c’è di mezzo la Provincia, la Regione. C’è di mezzo lo Stato». Per questo prima ancora del corteo, questa mattina i familiari delle vittime si incontreranno con l’obiettivo di organizzarsi in comitato. «È un modo per unire le forze», spiega Antonio Trotta, fidanzato della chef Ilaria Di Biase, 22 anni, di Archi. «Da soli rischiamo di perderci, e invece vogliamo stare con il fiato sul collo di chi deve trovare la verità. Anche se in Italia le responsabilità sono così mal divise che alla fine, lo so, non si capirà mai chi ha sbagliato davvero». (s.d.l.)
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