Gran Sasso, la scoperta dei geoneutrini una nuova era nello studio della Terra

"Si apre una nuova era nello studio dei meccanismi che governano l'interno della Terra. Avremo nuove informazioni su vulcani e terremoti"

PESCARA. Un esperimento realizzato nel Laboratorio di fisica nucleare del Gran Sasso ha visto per primo al mondo i geoneutrini, ossia le antiparticelle che provengono dal cuore della Terra. Un esperimento che potrà in futuro avere effetti sulla capacità di prevedere i terremoti.

E’ la prima testimonianza del fatto che, migliaia di chilometri sotto la crosta terrestre, elementi radioattivi decadono, producendo enormi quantità del calore che muove i continenti provocando anche i terremoti. A gettare il primo sguardo al centro della Terra è stato l’esperimento internazionale Borexino, del Laboratorio sotterraneo del Gran Sasso dell’Infn (Istituto nazionale di fisica nucleare).

Il coordinatore dell’esperimento è Gianpaolo Bellini, 74 anni, milanese, ordinario di Fisica nucleare all’università Statale di Milano. All’esperimento lavorano scienziati italiani, americani, russi, francesi, tedeschi e polacchi. Per ciò che riguarda l’Italia del team fanno parte studiosi delle università di Milano e Genova, dell’Infn e del gruppo del Laboratorio del Gran Sasso.

I dati rilevati dall’esperimento dimostrano che il decadimento radioattivo di queste particelle è una delle principali fonti di energia del pianeta. Secondo Bellini, si apre una nuova era nello studio dei meccanismi che governano l’interno della Terra, come racconta in questa intervista al Centro.

Quando è stato realizzato l’esperimento Borexino?
«Siamo partiti all’inizio degli anni ’90 e abbiamo cominciato a prendere dati nel maggio 2007, nel Laboratorio del Gran Sasso».

Perché 17 anni?

«Per due ragioni. La prima. Abbiamo sviluppato nuove tecnologie per avere un rivelatore con un livello di radioattività così basso come nessuno aveva mai avuto prima. Inoltre, siamo stati fermi per due-tre anni a causa di un piccolo versamento del materiale impiegato nello scintillatore per rivelare le particelle».

Che cosa sono questi geoneutrini?

«Gli antineutrini sono l’antiparticella del neutrino. Il neutrino è una particella con una carica piccolissima che ha la proprietà di attraversare grandi quantità di materia senza essere disturbata. Questi antineutrini sono emessi nei decadimenti radioattivi. Prima, si ipotizzava che gran parte del calore terrestre fosse prodotto da questi decadimenti radioattivi che avvengono all’interno della Terra. Ci sono, sostanzialmente, tre modelli geologici».

Quali?
«Il primio, detto radiogenico, ipotizza che tutto il calore terrestre sia dovuto a questi decadimenti radioattivi. Il secondo, chiamato Bse, da Bulk silicate earth, ipotizza, invece, che un po’ di più della metà del calore terrestre sia dovuto ai decadimenti. Il terzo modello geologico ipotizza, infine, che intorno al core della terra (la parte liquida) ci sia un andamento simile a quello di un reattore nucleare».

Perché la rivelazione dei geoneutrini è importante per capire quali di questi tre modelli sia quello esatto?
«Per vedere quanti sono i decadimenti radioattivi che dovrebbero essere nel mantello terrestre, fra il core e la crosta, non c’è altro modo che vedere questi neutrini».

E con questo esperimento che cosa avete capito?
«Per la prima volta abbiamo una certa evidenza che questi geoneutrini esistono. Nel Laboratorio del Gran Sasso abbiamo un vantaggio, quello di una grandissima radio-purezza: il sito, infatti, è lontano circa 500 km dal primo reattore nucleare. Quindi, è molto basso il flusso di antineutrini proveniente da quel reattore. Per due anni lì abbiamo raccolto molti dati sui geoneutrini, ma la difficoltà sta nel fatto che noi vediamo un geoneutrino ogni due mesi. Quindi, la quantità di eventi che abbiamo raccolto ha una statistica limitata, e, quando è così, si hanno purtroppo delle fluttuazioni. Ma i nostri dati, già da adesso, dimostrano che uno di quei tre modelli geologici, quello del georeattore, non è corretto. Mentre per gli altri due modelli ipotizzati non possiamo arrivare ancora a una conclusione chiara e definitiva. Il nostro programma, quindi, è di andare avanti per altri due anni in modo da discriminare tra il modello radiogenico e quello del Bse».

Perché è importante decidere quale di questi tre modelli è quello esatto?
«L’energia calorifica che c’è nel mantello terrestre è distribuita in un modo vario che non conosciamo ancora bene. Questa distribuzione crea dei moti convettivi che sono direttamente connessi con gli eventi vulcanici e con i movimenti della placca terrestre, cioè con i terremoti. E’ importante, per tornare alla sua domanda, perché misurando la quantità di decadimento radioattivo possiamo sapere se questo è al 100 per cento o soltanto in parte fatto di calore terrestre. Se riusciremo ad avere intorno alla terra un po’ di esperimenti del tipo di Borexino, che misurino il calore del mantello terrestre, potremo sapere come è distribuito il calore del mantello e, quindi, studiare i meccanismi che avvengono all’interno della Terra e, quindi, per esempio, i movimenti tettonici».

Sarà possibile prevedere anche i tempi dei terremoti?
«Per ora siamo troppo lontano da questo risultato. Sicuramente questo tipo di studi può portare a capire meglio quei meccanismi di cui parlavo. Ma da lì ad arrivare a sapere di più su quando avvengono i terremoti, per ora, no. Forse riusciremo a sapere di più sul dove i terremoti possono avvenire. Ma è ancora tutto da capire ciò che attiene al quando».

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