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Greenpeace torna a protestare contro le trivelle in Adriatico

PESCARA. Greenpeace torna a protestare contro le trivelle in Adriatico. Attivisti della ong hanno raggiunto la piattaforma «Fratello Cluster», entro le 12 miglia marine dalla costa poco a nord di...

PESCARA. Greenpeace torna a protestare contro le trivelle in Adriatico. Attivisti della ong hanno raggiunto la piattaforma «Fratello Cluster», entro le 12 miglia marine dalla costa poco a nord di Pescara, e hanno aperto due grandi striscioni, sui quali si legge «Stop trivelle - ieri, oggi, sempre». La ong spiega che si tratta di «un deciso monito al governo che verrà, di qualunque segno esso sia» sul fatto che «una larghissima parte dei cittadini italiani è contraria alle trivelle».
A due anni di distanza dal referendum in cui, pur non raggiungendo il quorum, 15 milioni e 800 mila italiani (quasi l’86% dei voti validi) votarono contro le trivelle, «i mari italiani sono ancora sotto la minaccia di nuove attività di ricerca di idrocarburi», ricorda Greenpeace.
«Una recente sentenza del Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di Abruzzo e Puglia», sostiene la ong in una nota, « dichiarando legittima la Valutazione d’Impatto Ambientale con cui il Ministero dell’ambiente aveva approvato la concessione di due enormi aree per la prospezione di idrocarburi alla Spectrum Geo. Da Rimini fin quasi all’estremità meridionale della Puglia, potrebbero presto cominciare le attività con l’airgun. I provvedimenti di Via ottenuti dalla Spectrum Geo sono solo due dei nove emanati in questi anni dal ministero dell’Ambiente. L’intero Adriatico è opzionato per nuove attività di ricerca di fonti fossili».
Il responsabile della campagna Energia e Clima di Greenpeace, Andrea Boraschi, rileva che «la politica energetica portata avanti dal governo Gentiloni negli ultimi due anni, sebbene meno aggressiva di quella di Renzi, ha continuato a intendere i nostri mari soprattutto come dei giacimenti».
E l’Italia, prosegue, «dovrà cambiare presto strategia, tornando a investire sulle rinnovabili e smantellando presto le oltre cento piattaforme disseminate lungo i nostri mari, nella maggior parte dei casi improduttive ed esonerate persino da royalties e oneri fiscali», conclude Boraschi.