Incendi e siccità hanno ferito la montagna

Oasi di Penne, Bussi, Santo Stefano: il verde cancellato dalla follia dei piromani

PESCARA. Ferita, umiliata, bruciata. Così ti appare la montagna da Capestrano a Roccamorice, da Bussi a Lettomanoppello fino su a Passolanciano. Per non parlare di Santo Stefano di Sessanio e, più avanti, di San Giuliano all’Aquila. Voliamo da soli, oggi, Ferragosto, su quel che resta della regione verde d’Europa. Non c’è più traccia di Canadair ed Ericsson. Ma le piaghe restano aperte. Mettere il naso sull’altra faccia dell’Abruzzo vuol dire trovarsi davanti a uno scenario spettrale. Qui, il blu dell’acqua presa dal mare e dai laghi si è riversato copiosamente per annullare il rosso del fuoco.

Ferita e umiliata, sì, ma non certo abbandonata dagli abruzzesi e dai turisti. In tanti, oggi, si sono voluti inerpicare in montagna per dare una risposta, con la loro presenza, ai criminali che l’hanno violentata. Il «Poli 46» vira a 360º e dalla spiaggia si arrampica in pochi minuti fino a Monte Fiore e Pietra Aspra.

Qui, nella riserva naturale del Voltigno e della Valle d’Angri, spuntano fuori le prime comitive di gitanti. LA TENDINA BLU. Deve volere davvero molto bene a questi monti chi ha scelto di piazzare la canadese in quota per dormirci. Unica compagnia, una mandria di vacche quasi tutte bianche che a sentire il ronzio dell’elicottero non si scompongono per niente.

La piccola pianura che si allarga apre la vista al ben più ampio altopiano che ha la catena del Gran Sasso come suo contorno naturale: la piana di Campo Imperatore. Il paradiso degli arrosticini è qui. Dagli stazzi che vedi appena disegnati sul terreno, la carne di pecora finisce dritta dritta sulle braci ardenti che oggi, chi più e chi meno, accende alla bell’e meglio cercando di non incappare negli strali della Forestale. LA ROCCA DEL MISTERO.

Ha merli e torri mangiate dal tempo ma resiste, indomita, a dominare tutta la vallata. La Rocca di Calascio cattura lo sguardo del pilota che vira una e due volte sopra a questo presidio che oggi è occupato da innocui turisti che, con buone gambe, si spingono fin quassù per godere il panorama unico scelto più volte come set cinematografico. Quando avvistano il «Poli 46», i turisti stringono gli occhi per non incrociare il sole. E salutano con la mano. A RIGOPIANO.

La linea non si vede, ma di qua del bosco è già provincia di Pescara. Nonostante i monti. E, dalla costa, in tanti salgono fino a Rigopiano e più giù a Farindola per la mangiata di mezzo agosto. IL LAGO FIORITO. Rientrando verso il mare, il «Poli 46» passa sopra a un arcobaleno di colori dove l’azzurro dell’acqua è il colore meno evidente. Nella singolare tavolozza che si apre a ridosso di Penne c’è il rosso della terra, il verde delle piante e il giallo dei fiori. Il lago di Penne è ridotto al lumicino.

La siccità ne ha ristretto i contorni e al posto dell’acqua è cresciuta la vetegazione. Anche qui, comunque, è zona di pic-nic. LA DISCARICA. La montagna tutta spelacchiata dal fuoco, a valle la discarica dei veleni chimici definita la più grande d’Europa. Su Bussi, dove l’Aterno è già Pescara, sembra proprio che sia caduta una maledizione. Il vento spazza la gola e spinge «Poli 46» verso il ritorno a casa. A ROCCAMONTEPIANO. Prima, però, una puntata sul Chietino.

A Roccamontepiano c’è movimento perché si prepara la festa di San Rocco che arriva il giorno dopo Ferragosto. Ecco spuntare, più in là, i calanchi, con Bucchianico e Casalincontrada. Alzando lo sguardo si vedono Semivicoli, Ari e Vacri, mentre a destra Canosa Sannita e poi Caldari. Ovunque comitive, famiglie riunite, file di macchine. È l’Abruzzo del Ferragosto. (e.n.)