La partita tra Monti e la politica

di Sergio Baraldi


Il primo via libera alla manovra Monti l’ha ottenuto e non a caso il presidente della Repubblica Napolitano ha sottolineato la “grande prova” del Parlamento. Il punto critico sta proprio nel rapporto tra il governo dei tecnici e la maggioranza parlamentare, composta da partiti che fino a ieri erano schierati su versanti diversi: il Pdl, il Pd e il Terzo Polo. Nel giro di poche settimane, queste forze politiche sono passate da uno stato di belligeranza politica permanente a uno di convergenza forzata, una strana alleanza che dovrebbe portare il Paese fuori dell’emergenza. Ma anche all’interno dell’intesa tra “nemici” si leggono fibrillazioni e tensioni che rendono più difficile il cammino del governo Monti: Berlusconi già parla con i suoi di elezioni a maggio e Bersani ribadisce che l’orizzonte politico del Pd resta il voto. Di fronte alla stretta imposta dal Professore, la politica tenta di non intestarsi le misure, si agita pensando alle urne, protesta perché i professori ascoltano i partiti ma non li tengono in grande considerazione, perché quando i ministri parlano si riferiscono a se stessi come “noi” e ai partiti come “voi”, sancendo una netta separazione. Troppi dimenticano che i professori fanno come molti cittadini che hanno imparato a loro spese che la politica è stata spesso più parte del problema che della soluzione. Regge, invece, il rapporto di fiducia tra Monti e il Paese, come scrive oggi il sondaggista Roberto Weber.

Nonostante il Professore chieda sacrifici, i cittadini sembrano rendersi conto che la ricetta sia amara ma indispensabile per evitare al Paese di fare la fine della Grecia. Gli italiani forse preferiscono Monti ai partiti. Anzi, probabilmente una parte rilevante dell'opinione pubblica teme di tornare nelle mani di una politica che si è rivelata incapace di tagliare i propri costi e privilegi mentre decideva tagli e tasse per il Paese. La politica, in particolare il centrodestra, accetta con fatica l'idea che il governo dei professori rappresenti il fallimento di un'azione che non ha prodotto risultati apprezzabili contro la crisi, né riforme, ma solo la mancanza di crescita di questi anni. I partiti non hanno metabolizzato la nomina di un commissario ad acta che realizzi la manovra e i cambiamenti strutturali necessari a stabilizzare il Paese, la svolta che i due poli non sono riusciti a portare a termine.

Non tutte le responsabilità sono uguali: Berlusconi ne ha di più per avere governato per un lungo periodo fino a ieri, ma il centrosinistra non ha la coscienza tranquilla, perché non ha saputo cambiare l'Italia. Uno ha fatto false promesse che erano illusioni, l'altro ha illuso con una speranza. Forse per questo Monti regge nonostante la stretta. E le fibrillazioni che percorrono i partiti vanno monitorate, ma potrebbero non rivelarsi decisive. Berlusconi mostra il suo reale stato d'animo quando dà ragione al premier inglese Cameron (neppure in Inghilterra la pensano tutti così) e critica il consolato Merkel-Sarkozy o parla come se fosse in campagna elettorale per tenere uniti i suoi e per cercare di intercettare consenso.

Il Cavaliere è stretto in una tenaglia. A destra è stato anticipato dalla Lega, che vuol fare dimenticare i provvedimenti votati fino a ieri. Berlusconi tende a inseguirla sul suo terreno per non perdere il contatto con quella parte dell'elettorato. Ma se si posta troppo a destra, come sta facendo, rischia di subire un'emorragia verso il centro di Casini e Fini. Segnali in questo senso sono l'avvicinamento di Letizia Moratti al Terzo polo o l'abbandono di Stefania Craxi. Il suo Pdl potrebbe ridimensionarsi sotto la duplice attrazione del polo leghista-aggressivo e di quello moderato-nazionale. La sua posizione è difficile anche perché a livello internazionale la sua caduta è stata accolta con soddisfazione nelle cancellerie che contano. Anche in questo caso, Napolitano offre una chiave di lettura quando sottolinea il recupero di autorevolezza dell'Italia. Per una volta, il Pd ha meno problemi del Pdl: la concorrenza la subisce solo a sinistra non al centro. E' l'ala radicale che tenta, come fa la Lega, di cavalcare lo scontento per recuperare consensi. La novità semmai è lo schierarsi della Cgil sul fronte massimalista. Anche il Pd si trova a giocare una partita delicata per stabilire se sia un partito riformatore nazionale che appoggia l'azione di Monti oppure una forza che non sfugge al radicalismo protestatario. Finora, Bersani è riuscito a tenere la rotta, ma l'avere evocato il voto rivela la sofferenza e la complessità della trasformazione del suo partito.

Il Terzo Polo, invece, ha colto l'occasione per appoggiare senza riserve il governo: è una scelta che potrebbe premiarlo se, contemporaneamente, avvierà la trasformazione in una moderna area politica d'ispirazione cattolica, liberale, europea, aprendo senza ambiguità la fase post democristiana della sua identità. L'emergere di queste tendenze di fondo conferma che lo spazio politico viene plasmato dalla dinamica aperta dalla nascita del governo Monti. Stiamo assistendo alla scomposizione e ricomposizione del quadro politico, non possiamo sapere quale sarà il suo esito. E', quindi possibile, che a tarda primavera si vada alle elezioni. Ma il movimento che attraversa il sistema politico, e la necessità dei partiti di recuperare la fiducia dei mercati, delle famiglie e delle imprese per avere condotto il Paese a un passo dal naufragio, giocano a favore di Monti.

Ci sono due questioni da tenere presenti. La prima è che il Paese sta scivolando verso la recessione. Lo ha detto Confindustria. Ma il non detto della manovra, spiegano gli economisti, è che essa "deve" essere recessiva, perché questa è la conseguenza della politica europea prescelta. La linea tedesca e francese è di imporre ai paesi non in equilibrio, come l'Italia, una deflazione che viene realizzata dai programmi di austerità. Questa manovra è caricata solo sulle spalle dei paesi indebitati o poco competitivi. Ci aspetta, quindi, un abbassamento della dinamica dei prezzi e dei salari sotto la soglia dei paesi virtuosi che si ripercuoterà sui ricavi delle aziende. E' questo che Monti intende quando dice che dobbiamo fare i compiti: metterci in regola con i paesi che trainano l'Europa. E non dobbiamo farlo perché così vuole la Germania: è nostro interesse non essere marginalizzati dalla scena internazionale dove si prendono decisioni che toccano la nostra vita. Le differenze dei famosi "spread" tratteggiano sentieri diversi per le economie e la competitività dei paesi. Il punto che non è ancora definito è quanto sarà forte la recessione. Secondo alcuni studi potrebbe oscillare dal 2 per cento al 4 per cento nel periodo 2012-2014. Ma qualche economista ritiene che dobbiamo calcolare che anche altri paesi, Germania compresa, stanno attuando manovre deflattive per quanto meno intense, di conseguenza l'impatto potrebbe essere accentuato. Ecco perché Monti deve rimettere in moto il meccanismo della crescita, delle riforme e liberalizzazioni, sulle quali il governo ha commesso degli errori, per mitigare questi effetti e restringere il ciclo negativo.

C'è poi una seconda questione più politica che riguarda l'Europa. L'ultimo vertice di Bruxelles ha segnato la vittoria del metodo intergovernativo, nel quale cioè non prevale il meccanismo decisionale comunitario, ma la guida dei capi di governo e di stato. All'interno di questo consenso democratico la diarchia Parigi-Berlino si è autonominata promotore-controllore del rispetto delle decisioni prese. Si delinea, quindi, un equilibrio diverso in Europa: Germania e Francia rappresentano l'asse centrale, con loro i capi dei governi democratici, mentre la Commissione sorveglia regole e politiche e la Bce presidia mercati e moneta. E' la germanizzazione dell'Europa. Berlino non accetta di farsi carico dei debiti degli altri paesi se prima non impone disciplina e sanzioni automatiche ai paesi non virtuosi. Una strana Europa "in crisi" che ha contribuito a far cadere tre governi, in Portogallo in Grecia e in Italia, ritenuti responsabili di politiche fiscali sbagliate. Merkel e Sarkozy guardano a Monti con rispetto e lo hanno subito cooptato nei loro vertici. Possono i partiti permettersi di farlo cadere se l'azione di risanamento dei conti non sarà consolidata? La domanda segna il punto di reale divaricazione tra governo e Parlamento: Monti guarda all'Europa e ai mercati, i partiti ai voti. Sono due basi costituenti differenti. Gli italiani, però, stanno imparando che anche i mercati e l'Europa "votano".

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