La sociologa Spedicato: «Incapaci di confrontarsi con la differenza»

Parla la docente di Sociologia all'Università D'Annunzio: «Anche la libertà oggi va praticata in modo attento e responsabile»

Questo fatto di cronaca, che porta alla ribalta l’intolleranza e i sentimenti negativi nei confronti della omosessualità, denuncia in modo inequivocabile l’ampio spazio di cui, nella nostra società, gode l’incapacità di confrontarsi con la diversità e con il folto corteo che l’accompagna, fatto di disprezzo per i diritti altrui, sfida nei confronti di atteggiamenti che non si condividono, infrazione deliberata di schemi comportamentali nei quali non ci si riconosce. A dispetto degli scenari globalizzati dell’oggi che dovrebbero aver abituato al rapporto identità-alterità, le espressioni di intolleranza gratuita persistono, segnalando la presenza di coscienze individuali e collettive “insulari”, affette da una sorta di virus che le induce a comprimere il molteplice nell’unità e a nutrirsi di monologhi. La qual cosa, per inciso, rileva un atteggiamento “vecchio” e “improprio”, del tutto antitetico al presente che è chiamato, invece, a conciliare particolarità e globalità; rivisitare l’assertività dei propri punti di vista; rimuovere il settarismo del pensiero lineare e rigido che abitua a pensare solo in termini di rissa e di fazione; abbandonare le percezioni e gli abiti cognitivi con cui generalmente ci rappresentiamo (negativamente) chi è diverso da noi. Insomma, nella complessa società della contingenza chi non impara a negoziare con altri cataloghi di valori, nuove forme relazionali, nuove configurazioni comportamentali, rischia di autoescludersi dal consorzio sociale. Ma c’è di più. Questo episodio precisa in modo molto chiaro anche la maniera impropria con cui intendiamo e pratichiamo il concetto di libertà.

È inequivocabile che l’individuo, oggi, sia decisamente più autonomo, più libero nelle sue decisioni a fronte del passato, meno vincolato a legami grazie alla de-costruzione e alla lacerazione di quelle appartenenze che un tempo lo legavano robustamente alle norme valoriali del proprio ambiente. Ma proprio questa sua condizione di soggetto più libero gli impone di praticare la libertà in modo molto più attento e responsabile di quanto non avvenisse nel passato. La libertà, infatti, non poggia sulla mera assenza di costrizioni e di condizionamenti; è, all’opposto, un contenitore di scelte maturate e assunzioni di responsabilità. Non consiste, quindi, nel fare ciò che si vuole, quanto piuttosto nel volere ciò che si fa, motivandolo e mostrandosi coerenti anche quando l’effetto è gravoso o penalizzante. Ossia, e detto altrimenti, la libertà è garantita da regole che vanno ossequiate, perché sono il segno di un progetto collettivo di convivenza societaria che definisce il quadro delle opportunità e dei limiti per le azioni individuali e collettive e rappresenta la rete di protezione e di sicurezza contro la confusione, la prepotenza, l’arbitrio.

Pertanto, il fatto di cronaca citato segnala da un lato l’incapacità di confrontarsi con la differenza; e dall’altro l’adesione all’idea di libertà come scelta individuale, svincolata da ogni responsabilità. Per tali motivi, gli atteggiamenti di tutti i protagonisti della vicenda sembrano indicare la crisi di significati e di progettualità di cui soffrono quasi tutte le società in stato di metamorfosi e transizione come l’attuale. Perciò sarebbe indispensabile richiamare alla necessità di parametri che facciano leva sulla qualità del sistema relazionale, sull’investimento della conoscenza e della coerenza. A meno che non si vogliano irrobustire i contesti caotici e disgregati che ben conosciamo. *(già docente di Sociologia all’Università D’Annunzio)