Laboratori Gran Sasso: nessun rischio per la radioattività

Nessun difetto di procedimento da parte dell'Istituto nazionale di fisica nucleare per l'esperimento con il Cerio 144: «Istruttoria corretta per Sox»

L’AQUILA. «Non c’è stato difetto di istruttoria da parte dei Laboratori del Gran Sasso. La richiesta di autorizzazione all'utilizzo della sorgente radioattiva è stata presentata seguendo le istruzioni di tale procedura, in particolare quella di fornire indicazione precisa del luogo ospitante la sorgente presso i Laboratori sotterranei del Gran Sasso». Lo ribadisce in una nota l’Istituto nazionale di Fisica nucleare rispondendo alle molte notizie diffuse in questi giorni dalla stampa locale e nazionale in relazione all’esperimento Sox. Privo di fondamento anche il paragone con il disastro nucleare di Fukushima. «A SOX non possono essere associati i rischi connessi a una centrale nucleare», dicono gli scienziati, «perché non è un reattore nucleare, e non può esplodere, neppure a seguito di azioni deliberate, errori umani o calamità naturali». Inoltre «la sorgente di SOX è una sorgente, sigillata, come quelle che vengono usate, sia pure con una diversa potenza e differenti finalità, negli ospedali delle nostre città per eseguire esami diagnostici e terapie». In particolare la sorgente «decade spontaneamente» ed è costituita «da circa 40 grammi di polvere di Cerio 144, con una radioattività - al massimo - di 5,5 PBq». Anche la potenzia termica della sorgente «non è paragonabile a quella di una centrale nucleare», mentre «la polvere di Cerio 144 di SOX è sigillata in una doppia capsula di acciaio, che a sua volta è chiusa all’interno di un contenitore di tungsteno dello spessore di 19 centimetri, del peso di 2,4 tonnellate». E veniamo all’evento dell’agosto 2016. «Parlare di “incidente” e “fuorisciuta di diclorometano” è improprio», scrivono i Laboratori. «In quell’occasione è stata rilevata nell’acqua una concentrazione di diclorometano (DCM, un comune solvente) pari a 0,335 microgrammi/litro, e le analisi della Asl l'hanno segnalata come un’anomalia. Tuttavia, questa concentrazione non ha rappresentato assolutamente una criticità: l'Organizzazione Mondiale della Sanità per le acque potabili raccomanda un limite di 20 microgrammi/litro. Questo raffronto dimostra che ci si è trovati di fronte a valori ben al di sotto dei limiti: 60 volte inferiori. La sostanza, sebbene in concentrazioni notevolmente inferiori ai valori limite, è stata efficacemente rilevata dal sistema di monitoraggio delle acque, e di conseguenza si è adottata una corretta scelta precauzionale che ha determinato la “messa a scarico” delle acque». I Laboratori ribadiscono anche la loro estraneità rispetto a un episodio verificatosi nel maggio 2017 quando, a seguito di una disposizione del SIAN dell’Asl di Teramo, il 9 maggio è stata dichiarata la sospensione dell’uso a fini potabili delle acque in uscita dal Traforo del Gran Sasso, a seguito dei prelievi effettuati il giorno 8 maggio che ne rilevavano la non conformità per odore e sapore. «In quei giorni l’acqua captata nell’area dei Laboratori non veniva immessa nell’acquedotto. È quindi impossibile che questo episodio sia da ricondurre alle attività dei Laboratori e nessuna responsabilità si può quindi imputare ai Laboratori».