Meno negozi nelle città e cresce la ristorazione 

Come è cambiato il settore nel report 2006-2017 di Confesercenti Abruzzo «Nel tessuto urbano sempre più attività legate all’accoglienza e al tempo libero»

PESCARA. Meno negozi ,più attività legate la cibo e all’accoglienza. E un Abruzzo a due velocità tra costa ed entroterra. Questo in sintesi il rapporto della Confesercenti Abruzzo su 10 anni di commercio nella regione, con il negozio tradizionale, il cosiddetto “retail”, in grande difficoltà. Con un picco negativo all’Aquila, dove il numero dei negozi è sceso del 42.2%, record in Italia (incide profondamente il terremoto del 2009), con un calo del 7.49% anche nel settore turistico, mentre il numero dei negozi tradizionali a Pescara e provincia è cresciuto dello 0.34%, piazzandola al terzo posto in Italia per incremento percentuale nel settore turistico, e con un più 29.75% nel food, per via delle 602 nuove attività aperte negli ultimi dieci anni, tra alberghi, bed and breakfast e ristorazione. Quest’ultimo settore rappresenta «un caso pressoché unico in Italia», a Pescara commenta Confesercenti. Ma l’escalation della ristorazione ha visto protagonista anche la provincia di Teramo, in cui grazie all'università e alle città costiere il turismo ha conosciuto un aumento del 14,9%, mentre il “retail” ha subìto una contrazione del 10,8%.
In generale, va detto, il commercio abruzzese soffre, visto che, comparando i dati del 2006, ultimo anno pre-crisi, con quelli del 2017, emerge che l’economia abruzzese ha perso 3.838 negozi tradizionali (-16,58%), passando dalle 23.139 attività censite nel 2006 alle 19.301 del 2017: un dato superiore alla media nazionale (-15%), a fronte delle attività “food”, che sono cresciute del 12,3% in Abruzzo, passando numericamente da 9.635 a 10.826, leggermente al di sotto della media nazionale (+16,8%), in una graduatoria guidata da Sicilia (+26,1%), Campania (+22,1 %) e Puglia (+21,9%). Stabile (-1,4 %) il numero dei commercianti ambulanti, mentre cresce del 5 % il numero delle attività ricettive (da 1.198 a 1.258 imprese): un dato molto al di sotto della media nazionale, spinta tuttavia a un +14,9% dall’esplosione della ricettività delle regioni meridionali (Puglia +76,9, Sicilia +47,7, Basilicata +40,5), sempre secondo i dati di Confesercenti. Per Daniele Erasmi, presidente regionale della Confesercenti, «i numeri raccolti dalla nostra ricerca dimostrano che l’Abruzzo non è immune dai fenomeni globali che stanno interessando il commercio in tutto il mondo e che gli addetti ai lavori definiscono "Apocalypse Retail"». Con un distinguo, però, chiarisce Erasmi, il quale punta sul commercio 4.0: «Le nostre città vedranno senza dubbio meno negozi e più attività legate al tempo libero. Ma il commercio non scomparirà. I negozianti, tuttavia, devono specializzarsi».E se in Abruzzo il commercio va a due velocità, a due velocità vanno anche i consumi, con l’Abruzzo nello stuolo delle regioni più lente. Le famiglie abruzzesi nel 2007 potevano spendere 27.708 euro, contro i 25.908 del 2016, con un calo dunque del 6,50%. Un intervento del governo nazionale e di quello regionale è richiesto dal direttore regionale di Confesercenti, Lido Legnini. «Il radicale cambio dei nostri centri urbani richiede un'elevata attenzione da parte delle istituzioni, chiamate a prevenire i conflitti fra le funzioni residenziali e il diritto al lavoro. La vocazione delle città sta mutando e oggi viene richiesto sempre di più un tessuto economico orientato all’accoglienza, alla ricettività, con servizi avanzati in questo campo».