Pd: riforma elettorale entro marzo

D'Alessandro: «Non si può più rinviare». Scontro sullo sbarramento

PESCARA. Mercoledì in commissione Statuto del Consiglio regionale inizierà la votazione sugli articoli e sugli emendamenti della nuova legge elettorale. Quella che dovrebbe portare l'Abruzzo al voto a fine 2013- inizio 2014. L'impianto della riforma è sostanzialmente condiviso da maggioranza e opposizione (abolizione del listino, quattro collegi provinciali, premio di maggioranza). Resta la questione della quota di sbarramento per l'ingresso in Consiglio regionale. In questo caso si confrontano due posizioni estreme: quella del Pd che chiede la soglia del 6% per le liste che si presentano sole e del 4% se all'interno di una coalizione; quella dei partiti minori, Rifondazione, Comunisti Italiani, Verdi, ma anche Mpa, che sono disponibili voli a una soglia light del 2%. Il Pdl è in mezzo.

«Cercheremo una mediazione», dice il presidente della commissione Lorenzo Sospiri. «anche se ammetto che lo sbarramento del 6% troverebbe facile gioco anche nel Pdl. Ma va decisa una quota che non butti fuori dal Consiglio alcune forze storiche».

Il 6% è la quota che chiede anche Confindustria Abruzzo, come parte di quel pacchetto di riforme che l'associazione «pretende», come ha detto il presidente Mauro Angelucci, dalla politica. Dice il capogruppo del Pd Camillo D'Alessandro: «Questa è la fase in cui tutti, a partire dalle organizzazioni più rappresentative come Confindustria devono entrare nel merito delle proposte. E gli appelli vanno rivolti a chi oggettivamente impedisce il cambiamento». Per D'Alessandro il Pd è fuori discussione. Anche perché concorda con Confindustria sulla soglia del 6%. ««Questa scelta», dice D'Alessandro, «deriva dall'esigenza di garantire la governabilità. Perché a fronte di una riduzione dei consiglieri regionali, aumenta il potere di ricatto dei singoli o dei monopartiti». Detto in numeri, in un'assemblea di 30 seggi (quanto prevede la riforma Tremonti), con una maggioranza a 18 e una minoranza a 12, bastano tre persone per mandare all'aria la maggioranza.

Non sarà comunque facile trovare una strada comune ed evitare l'ostruzionismo (ieri il consigliere di rifondazione Maurizio Acerbo ha bocciato senza mezzi termini la supersoglia). Ma D'Alessandro avverte: «Ho chiarito in commissione che se la legge elettorale non dovesse essere approvata entro marzo, la richiameremo in aula, come abbiamo fatto con la legge sul vitalizio e costringeremo la maggioranza a votarla». Il Pd però non vuole arrivare a questo, perché, spiega il capogruppo Pd, la legge elettorale, per sua natura, ha bisogno di una maggioranza ampia e convinta. «Ma non è possibile arrivare a un anno dalle elezioni e non fare la riforma. Perché prevarrebbero le paure dei singoli, qualcuno penserebbe di rifugiarsi nel listino, e dunque non si farebbe nulla. Invece abbiamo febbraio per lavorare in commissione e marzo per chiudere la partita in aula, non è possibile che questa cosa non avvenga».

Non ci sarà invece discussione sul numero dei collegi. Saranno quattro, uno per provincia. Viene escluso il ricorso al collegio unico, come chiede Confindustria. Sia Sospiri che D'Alessandro evocano come ostacolo insormontabile il problema dei costi della campagna elettorale: «La legge», spiega D'Alessandro, «prevede che un candidato spenda un massino di 30-35 mila euro per ogni collegio provinciale. Con il collegio unico i costi di quadruplicherebbero. Ci sarebbe una selezione di tipo economico e una selezione di tipo partitico, perché a quel punto sarebbero i partiti a indicare chi deve essere eletto».

Se il collegio unico non è sul tavolo, lo è invece l'ipotesi del doppio voto di preferenza avanzata sempre dal Pd in un emendamento. «La doppia preferenza sarebbe facoltativa», spiega D'Alessandro, «ma se un cittadino vuole esprimere le due preferenze, la seconda deve essere di genere, cioè devono essere preferenze per un candidato uomo e un candidato donna». In questo caso, naturalmente le liste dovrebbero essere al 50% di candidati e candidate.

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