Pedaggi A24 e A25, così la Regione lancia la sfida contro Anas 

L’Abruzzo ricorre alla Corte Costituzionale contro gli aumenti, l’udienza fissata per il 22 maggio. Il presidente D’Alfonso: «I 56 milioni di canone spettano solo al ministero»

PESCARA. Il caro-pedaggi finisce davanti alla Corte Costituzionale. Il ricorso della Regione si basa sul principio che i canoni concessori spettano al concedente, cioè al Mit, e non all’Anas.
«Il 22 maggio si terrà l’udienza su un ricorso che noi abbiamo attivato come Regione Abruzzo, con grande autonomia di valutazione, contro una legge che stabilisce che i canoni di concessione delle autostrade A24 e A24 debbano finire nella fiscalità generale. Io invece sostengo che i canoni di concessione sono degli abruzzesi e devono servire a favore degli abruzzesi per comprimere gli aumenti delle tariffe autostradali». Così dice il presidente della giunta regionale, Luciano D'Alfonso, illustrando la strategia dell'amministrazione regionale, per contrastare l'aumento dei pedaggi, del 12,89%, applicato da Strada dei Parchi, per l’A24 e l’A25, sulla base di un decreto ministeriale, a partire dal primo gennaio scorso.
I MILIONI IN BALLO. In parole semplici, la Regione ricorre alla Consulta contro l’Anas che incassa annualmente i 56 milioni di euro pagati dalla società concessionaria delle autostrade che collegano l’Abruzzo a Roma. Quei soldi invece dovrebbe essere incassati dal Mit, il ministero delle Infrastrutture e Trasporti, e di conseguenza investiti in opere di manutenzione e messa in sicurezza con effetti positivi sul caro-pedaggi.
«Noi siamo la Regione che attivò per prima, tra le regioni italiane, il ricorso per la normativa riguardante le trivelle - ha ricordato D'Alfonso - e poi dicemmo che quel ricorso ci serviva per ottenere una norma nuova. Nel caso delle autostrade se non avremo una norma nuova - ha sottolineato il governatore - avremo una sentenza della Corte Costituzionale che ha forza anche di innovazione normativa».
LE TRE VIE. Il presidente della giunta regionale ha poi spiegato che la Regione agirà su tre fronti. «Il primo riguarda il ricorso davanti alla Corte Costituzionale, per riprenderci i 56 milioni di euro l'anno dei canoni di concessione autostradale, rispetto ai quali affermiamo con forza che non possono finire nella fiscalità generale - ha rimarcato -; il secondo è la determinazione di una norma che faremo in Parlamento, per rivedere l'assurdità di quel contratto conseguente all'assurdità di un bando di gara, fissando un limite invalicabile all'aumento di tariffa, che per quanto mi riguarda è del 2% più inflazione». Il terzo ed ultimo punto, ha spiegato il governatore «ci vedrà determinare una spinta in avanti di un piano economico finanziario, che consenta di rendere sempre più sicura l'infrastruttura autostradale, essendoci un grande rischio che sta sulle spalle dei pendolari, quello che diminuiscano le utenze e non si facciano le manutenzioni necessarie».
TUTTO DA RIFARE. Il contratto “capestro” a cui D’Alfonso ha fatto riferimento è datato 2001. In sintesi è l’ostacolo principale da superare perché quando venne firmato non fissò alcun tetto massimo agli aumenti annuali del pedaggio. Ma per poter modificare quell’atto di 17 anni fa, occorre una legge e quindi una particolare apertura a farlo da parte degli organi ministeriali. Nessuno però può dirci se, da qui a maggio, la geografia politica dei ministeri resterà la stessa con cui finora la Regione Abruzzo ha intavolato un discorso.
L’APRIPISTA. Così il ricorso alla Corta Costituzione, curato dal professor Vincenzo Cirulli Irelli, diventa una testa di ponte, qualunque sia l’esito delle elezioni dei 4 marzo. Con un valore aggiunto politico che riconosca l’autonomia della Regione Abruzzo legittimata, si legge nel ricorso, a partecipare a decisioni che riguardano il proprio territorio. (c.a.)