Raccolta nella “Valle delle mele” dove i frutti sanno di antico

La coltivazione è tradizionale, senza concimi chimici, i mercati sono quelli locali Così decine di piccoli produttori sfidano sulla qualità i colossi della grande distribuzione

ORTONA DEI MARSI. Afferri la mela con la mano, la fai ruotare dolcemente indietro mentre con l’altra reggi il ramo, fino a quando il frutto si stacca dal picciolo quasi da solo. E mela dopo mela, arrampicato sopra a una scala, riempi il secchio nel giro di cinque minuti. Sempre se riesci a resistere e a non mangiare più mele di quante ne raccogli. Perché il sapore della Limoncella, la Cerina, la Renetta e la Rosa, o delle più conosciute Golden Delicious e Red Delicious, è irresistibile. Specie se è mattina presto e il lavoro mette fame prima del previsto. La raccolta delle mele autoctone nella Valle del Giovenco è un’arte (bisogna stare attenti a non staccare la “lamburda”, probabilità che si presenta quando cerchi di portare via il frutto non del tutto maturo, danneggiando la pianta per sempre). Un’attività affidata a decine di piccole aziende agricole a conduzione familiare, che coltivano, raccolgono e vendono come si faceva fino agli anni ’50, sfidando la grossa distribuzione a cui anno dopo anno strappano piccole fette di mercato locale o di oltre confine, verso Tivoli, nel Lazio, secondo la filiera cliente-produttore.

Come una volta. «Ci rimettiamo a Dio». Sta tutta in questa frase la speranza di Danilo Eramo, figlio di un agricoltore della piccolissima frazione di Carrito, che la maturazione delle mele avvenga nel migliore dei modi. Non si usano concimi chimici, né tecniche d’irrigazione alternative a quella “che Dio ci ha dato”. Devono bastare pioggia, sole, giusto livello di umidità, ricchezza del terreno. E sapienza. Invece serve pazienza, se qualche volta il raccolto non viene abbondante come ci se lo aspetta. Raccolto che si attesta in media intorno a un centinaio di quintali di frutta all’anno. L’importante è, per gli agricoltori della cosiddetta “Valle delle mele”, che il frutto sia buono, dolce o aspro, compatto, pieno di vitamine da far «scoppiare i bambini di salute». Come una volta. La produzione di mele in queste zone è legata alla riscoperta di vecchi rituali e ritmi passati. Alle varietà di mele uniche tra gli anni ’60 e ’70 si sono aggiunte la Golden Delicious e la Red Delicious, che si sono affermate subito, mentre è drasticamente diminuita la coltivazione di frutta autoctona. Ma qualcosa sta cambiando, e a un ritorno d’interesse per l’agricoltura tradizionale negli ultimi anni si aggiunge anche un turismo “bioagrituristico”, con tante persone che dal nord Italia e dall’estero vengono in Abruzzo per imparare le tecniche agricole del passato.

La raccolta. Sveglia presto la mattina, per caricare i mezzi con scale, cassette e secchi, mettere nello zaino pizza con farina di solina, bianca con le melanzane o rossa con il pecorino. E poi una bottiglia di vino locale che non deve mancare mai, e si comincia. «Le cassette vengono sistemate in fila tra i filari», spiega Eramo. La raccolta delle mele è già a buon punto nella valle, è evidente dai filari ormai spogli che si susseguono tra le frazioni di Cesoli e Carrito. Danilo conduce i suoi aiutanti nella terra dove è cresciuto, dove a 4 o 5 anni veniva accompagnato dai nonni su un carretto. Prendono nomi strani i terreni in queste zone: le Golden di Eramo si trovano tra “Funnelle” e “L’imbocco”. Il primo evoca un sottosuolo di acqua sorgiva, l’altro indica l’imbocco della ferrovia. «Abbiamo cominciato tra fine settembre e inizio ottobre, ci vogliono 10-15 giorni in tutto per portare a termine la raccolta», spiega Eramo, che di mestiere fa il finanziere e dà una mano al padre nella sua attività agricola. La coltivazione di mele non viene tanto dalla necessità di fare reddito, soprattutto perché non è condotta a livello industriale. «Non ci sono tecnologie e capacità per farlo», aggiunge Eramo. «Ho imparato ad amare la campagna perché quando avevo l’età dei miei figli i nonni mi portavano qui nei campi, che col tempo sono rimasti incolti. Poi d’accordo con mio padre abbiamo deciso di rivitalizzare i terreni migliori».

Mercato locale. Difficile stabilire quante aziende agricole produttrici di mele esistano nella Valle del Giovenco, perché la maggior parte sono senza partita Iva e vendono a un mercato locale (secondo normativa). Ma è un mercato alternativo a quello della grande distribuzione, perché la frutta è di qualità, meno costosa e anche se non concimata è più resistente. Anche la Golden prodotta a livello locale non ha niente a che vedere con il frutto comprato al supermercato. «Questa non subisce trattamenti di fertilizzazione e nemmeno d’irrigazione, quindi il contenuto saccarino e di sostanze, che le danno sapore e compattezza, sono molto più alti», spiega l'agricoltore. «Ma ci rimettiamo in estetica”. La pezzatura, infatti, non è quella pretesa dalla grande distribuzione per la vendita. Vogliono mele tutte con calibro 70-80, 90-100. Qui si trova una calibratura varia. Noi stiamo attenti soltanto che la mela sia integra, non abbia difetti, non sia stata beccata dagli uccelli né scalfita da vermicelli, altrimenti marcirebbe». E a fine giornata, con le braccia stanche e la pancia piena, si portano le casse in magazzino, dove le mele vengono stoccate e selezionate. Si mettono quelle buone nelle cassette, e si comincia con la vendita.

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