«Racconto Bisenti attraverso il mio Montonico»

Francesca Valente, 33 anni, ha riscoperto il vitigno teramano spinta dalla passione ereditata dal nonno

BISENTI. Francesca Valente ha 33 anni e una passione per l’agricoltura ereditata dal nonno Francesco, maestro elementare, cultore visionario del vitigno a bacca bianca Montonico, caratteristico dei territori di Bisenti e Cermignano, sperimentatore di bollicine, fondatore di una cooperativa locale, animatore di eventi come il “Revival dell’uva e vino Montonico” che da 40 anni si svolge la prima domenica di ottobre.

Il nonno di tanto in tanto risparmiava a Francesca una mattinata d’asilo e la portava in campagna per vigneti e frutteti. Oggi Francesca è la prima della famiglia ad abbracciare professionalmente il mestiere di imprenditore agricolo.

Armata di passione, certamente, ma anche di una solida cultura scientifica: una laurea in tecnologica alimentare, specializzazione in economia agraria con dottorato di ricerca sul settore vitivinicolo.

A lei e a pochi altri produttori si deve la ripresa di questo antico vitigno Montonico legato indissolubilmente a Bisenti e al suo territorio.

«Possiamo dire che ormai il Montonico non è più in via d’estinzione da quando stiamo provvedendo al suo reimpianto: io su tre ettari, poi c’è il mio collega Matteo Ciccone con un ettaro».

Come ha impostato l’attività della sua azienda?

«Il progetto sul Montonico non è solo vino, anche se il vino è il prodotto principe. Ma è il recupero di tutti i prodotti della tradizione. Parto dal concetto che il Montonico è un’espressione altissima di biodiversità del territorio, non solo come adattamento alle nostre condizioni pedoclimatiche, ma anche come recupero dell’artigianalità di chi qui ha vissuto e lavorato».

Che tipo di artigianalità?

«Noi produciamo vino cotto, mosto cotto, confettura, dolci a base di vino. In questo modo recuperiamo prodotti e introduciamo innovazione. Da quest'anno abbiamo anche ampliato la produzione di mosto cotto. Purtroppo i cinghiali e i caprioli ci hanno mangiato 10 quintali d’uva dal vigneto e ci hanno impedito la produzione di confettura».

Un problema comune in Abruzzo.

«In più noi siamo in zona preparco e non ci viene dato nessun supporto per le recinzioni: se sei nel parco ti aiutano, se sei preparco non ti aiutano».

Non è un problema marginale. E immagino non sia il solo.

«La viabilità è il problema principale. E’ difficile arrivare qui da noi».

La domanda è d’obbligo: perché nell’Abruzzo del Montepulciano una giovane imprenditrice decide di produrre Montonico?

«Perché è il nostro vitigno. La prima testimonianza scritta, Montenego, la troviamo nei catasti onciari del 1600».

Ma perché questo binomio Bisenti-Montonico?

«Bisenti ha condizioni pedoclimatiche particolari, con escursioni termiche tra giorno e notte che non si trovano in altre zone del Teramano o del Pescarese. Siamo a 450 metri alla congiunzione tra due fossati: l’influenza del fiume e la vicinanza della montagna creano condizioni climatiche dure e il terreno è povero e argilloso. Il Montonico ha sfidato la natura per sopravvivere. Ma qui si esprime al meglio».

Lei produce vino bianco Montonico ma sta sperimentando uno spumante.

«Una ventina di anni fa mio nonno con il professor Seghetti partirono con una sperimentazione sulla base di una tesi di laurea. Le premesse per la spumantizzazione del Montonico ci sono. Matteo Ciccone è già avanti e produce da diversi anni. Con la mia azienda partiremo l’anno prossimo».

Tre ettari sono pochi per fare tutto quello che ha in programma...

«Con i fondi del nuovo Piano di sviluppo rurale punto a raddoppiare la superficie».

Quindi punta sui prossimi bandi regionali.

«Non si può pensare di fare tutto da soli. L’avviamento di un vigneto è costoso e non entra in produzione prima di due anni. Ma l’importante è lavorare sulla qualità. Non si può pensare di fare con questi prodotti produzioni di massa. Il territorio non ci regala abbastanza terreno da poter esser produttori seriali di bottiglie. Dobbiamo lavorare bene con quello che c’è, in maniera sostenibile, facendo rete e valorizzando questo territorio, come abbiamo fatto con il progetto per rendere il Montonico presidio Slow Food, un traguardo raggiunto un mese fa».

Ha una rete commerciale?

«Oggi facciamo soprattutto vendita diretta. Ma puntiamo su internet, sul web marketing e l’e-commerce: un potenziale inesplorato. In Italia solo il 2% delle imprese agricole fanno e-commerce. Ma si tratta di una grande risorsa perché mette direttamente in contatto l’azienda con il consumatore. Certo, sta poi a te trovare la logistica più adatta per abbattere i costi».

Lei è nei giovani imprenditori Cia di Teramo ma va spesso a Bruxelles perché è membro del Ceja, il Consiglio europeo dei giovani agricoltori, e dei gruppi di dialogo civile. Che cosa sono?

«E’ un luogo dove la Ue si confronta con le organizzazioni di categoria sui programmi o sulle direttive. Si parla tanto anche di ambiente e di cambiamenti climatici».

Che differenze si sono tra gli italiani e i suoi colleghi europei?

«Negli altri paesi c’è meno frammentazione, ma per quanto riguarda le problematiche dei giovani, sono le stesse. Ritroviamo quindi le solite difficoltà per l’accesso al credito, perché nessuna banca è disposta a finanziare senza garanzie un ragazzo che vuole partire con un’azienda. Un altro problema comune è l’abbandono dei terreni. Qui poi abbiamo le tasse. Mi piacerebbe capire se effettivamente c’è questa cancellazione dell’Imu promessa».

Le promesse sono state rinnovate più volte.

«Ma c’è un dubbio sui terreni in affitto, che poi riguardano soprattutto i giovani»..

Consiglierebbe comunque a un giovane di diventare imprenditore agricolo?

«Ci sono tante opportunità. In più chi si avvicina per la prima volta al settore riesce a vedere meglio in prospettiva quello che può offrire. Oggi non si tratta più di fare gli agricoltori con la zappa. Bisogna essere imprenditori a tutto tondo, conoscere l’economia, il marketing, l’e-commerce. E poi bisogna avere a che fare con la natura, rispettandola».

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