carcere di sulmona, condannato per capaci 

«Spazio sufficiente» La Cassazione boccia il ricorso del boss

L’AQUILA . Tolti gli arredi e il letto a castello, a sua disposizione resterebbero solo 2,9 metri quadrati, cioè 10 centimetri quadrati in meno rispetto a quanto previsto dalla Convenzione europea...

L’AQUILA . Tolti gli arredi e il letto a castello, a sua disposizione resterebbero solo 2,9 metri quadrati, cioè 10 centimetri quadrati in meno rispetto a quanto previsto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Per questo motivo Domenico Ganci, 61 anni, di Palermo, il killer di Cosa Nostra condannato all’ergastolo per la strage di Capaci e un’altra serie di delitti, ha fatto ricorso contro quella che ritiene una violazione della Cedu. Una tesi non condivisa dalla prima sezione penale della Corte di Cassazione, che dopo il tribunale di sorveglianza dell’Aquila, ha respinto l’istanza condannandolo al pagamento delle spese processuali.
Il curriculum di Ganci parla da solo. Figlio del capomandamento della “Noce”, Raffaele Ganci, alleato di Totò Riina, nel 1993 finisce nel procedimento penale della strage di Capaci assieme ad altri personaggi di primo piano delle cosche: oltre a Riina, ci sono Leoluca Bagarella, Giovanni Brusca e altre 10 persone coinvolti nell’attentato che costò la vita al giudice Giovanni Falcone, alla moglie Francesca Morvillo, e agli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. A incastrare Ganci le dichiarazioni di due pentiti, che nell’ordinanza vengono indicati come “Zeta” e “Omega”. Entrambi riferiscono ai magistrati di aver partecipato all’attentato, e che a segnalare la partenza dell’autovettura blindata del giudice Falcone è stato Domenico Ganci, assieme al fratello Calogero e al padre Raffaele. I primi anni di detenzione Ganci li ha scontati in regime di 41 bis; nel 2009 il tribunale di sorveglianza di Roma ha annullato il regime speciale, subito ripristinato dall’allora ministro della giustizia Angelino Alfano. Qualche anno fa il regime di detenzione è stato nuovamente riclassificato, e Ganci è stato trasferito nel carcere di Sulmona, dove è attualmente recluso nel reparto di “alta sorveglianza 1”. In particolare Ganci, attraverso i suoi legali, ha invocato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione Cedu, che stabilisce il diritto a ottenere un risarcimento se la detenzione si svolge in condizioni degradanti. Il “risarcimento” consiste nella «riduzione della pena detentiva ancora da espiare pari a un giorno per ogni dieci durante i quali il richiedente ha subito il pregiudizio». Secondo la convenzione lo spazio minimo a disposizione deve essere di almeno 3 metri quadrati, ma Ganci sostiene che lo spazio utile, al netto degli arredi, il letto a castello, e il locale bagno annesso, sia di 10 centimetri quadrati inferiore al limite previsto. La Cassazione ha respinto il ricorso perché «infondato».
I giudici, nel riconteggiare lo spazio, osservano che “la camera di pernotto” (come si chiamano oggi le celle), al lordo degli arredi è di 9 metri quadrati, da aggiungere ai 3,6 metri del bagno, e che quindi la superficie netta è «ben superiore alla soglia minima di tre metri quadrati». (a.bag.)