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13 Marzo

Oggi, ma nel 1858, a Parigi, davanti al carcere della Roquette, venivano ghigliottinati Giovanni Pieri da Lucca e Felice Orsini da Meldola (nella foto, particolare della cromolitografia di Giovanni Marchetti conservata a Mantova nel Museo della città) che il 14 gennaio precedente in rue Lepellettier avevano tentato di uccidere l'imperatore dei francesi Napoleone III che usciva dall'Opera national. L'attacco era motivato, in quanto Napoleone III era ritenuto dai cospiratori il principale responsabile del fallimento dei moti italiani del 1848-1849. Nell'attentato, il sovrano e l'imperatrice Eugenia de Montijo  uscirono illesi, ma otto morti e 156 feriti rimasero a terra per lo scoppio delle tre bombe sperimentali. Ordigni al fulminato di mercurio, preparati a Londra dal medico francese Simon Bernard (che riuscirà a non farsi catturare dopo l'attentato) e che oltre a essere antesignani di quelli "a mano" passeranno alla storia come "all'Orsini". Altri due dinamitardi, Carlo Di Rudio da Belluno e Antonio Gomez, da Napoli, riuscirono a scampare al patibolo e ad avere, nel processo del 25 e 26 febbraio precedente, pene dell'ergastolo e di 29 anni: da scontare ai lavori forzati sull'Isola del Diavolo, alla Cayenna, nella Guyana francese, ma Di Rudio riuscirà a evadere nel 1859 e Gomez verrà graziato nel 1887. Pieri, in realtà, era stato fermato e tratto in arresto prima che potesse lanciare la sua bomba, la quarta. Rivelerà che a scagliare la terza contro il corteo imperiale non sia stato Orsini, ma addirittura Francesco Crispi.

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