#TODAY

14 Febbraio

Oggi, ma nel 1938, a Carbonia, nel pozzo 1 della miniera di carbone della frazione Serbariu, a 150 metri di profondità, morivano annegati cinque operai originari della provincia di Chieti, arrivati dieci giorni prima. La dinamite utilizzata per aprire una nuova vena per estrarre il combustibile necessario all'autarchia energetica voluta dal capo del governo Benito Mussolini faceva, invece, scoppiare una falda acquifera. Le vittime erano: Amadio Merlino di 47 anni, Nicola Merlino di 30, Nicola Santarelli di 46, Domenico Marinelli di 21, tutti di Taranta Peligna. E Domenico Ludovico Silvestri di 17, invece, di Lama dei Peligni. I loro corpi, in avanzato stato di decomposizione, verranno recuperati solo il 23 giugno di quell'anno quando le pompe finalmente riusciranno a drenare via tutta l'acqua. Erano stati i primi abruzzesi (se ne conteranno 291) ad arrivare in Sardegna, nel più giovane Comune del regno d'Italia, fondato proprio in quell'anno dal duce. E anche i primi minatori a lasciarci la vita: il triste bilancio delle vittime arriverà a 123 fino al 1964 quando la miniera aperta nel 1937 verrà chiusa. Una lapide in pietra trachite (nella foto, particolare) realizzata da Luigi Angius verrà posta fuori dalla ex miniera il giorno di San Valentino del 2002 per ricordare il sacrificio di quei cinque morti nel tentativo di sfuggire alla miseria della vita sotto la Majella. In quell'occasione Cettina Merlino, la figlia del più anziano del gruppo Amadio, farà riflettere ricordando come il padre fosse stato costretto a finire in quella miniera perché l'inverno rigido avesse gelato il raccolto e fatto morire la mucca: uniche fonti di sostentamento della sua famiglia.

@RIPRODUZIONE RISERVATA