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27 maggio

Oggi, ma nel 1965, a Gualtieri di Reggio Emilia, moriva a 66 anni, stroncato dall'ennesimo attacco di schizofrenia e peggiorato in seguito alla paresi del 1962 il pittore espressionista Antonio Ligabue. Stremato da una vita difficile, ai limiti della sussistenza alimentare, e costellata da ricoveri in strutture sanitarie per disturbi mentali se ne andava quello che verrà considerato il Vincent Van Gogh italiano. Bollato dai contadini emiliani come "El matt", il matto appunto, era stato inizialmente autodidatta e poi affinato all'uso dei colori da Renato Marino Mazzacurati. Era ossessionato dalle pennellate generose e possenti brandite come fossero rasoiate e dagli autoritratti (nella foto il particolare di uno dei più noti) sempre imperfetti. Tentava per questo di cambiarsi i connotati infliggendosi mattonate sulla testa e sul naso. Dipingeva con altrettanta maniacalità animali selvatici vantandosi di «conoscerli anche dentro». Era nato a Zurigo da padre ignoto e cresciuto senza la madre Elisabetta Costa, avvelenata dal marito Bonfiglio Laccabue di Gualtieri. Come il suo famoso omologo olandese in vita era stato costretto a cedere per un piatto di minestra tele che dopo la scomparsa raggiungeranno quotazioni astronomiche. Amava follemente le motociclette, specialmente le fiammanti Guzzi, più volte aveva infilato la testa nei raggi delle ruote ed era sopravvissuto miracolosamente ad un incidente nel 1963. Nel 1955 aveva tenuto la prima mostra personale: a Gonzaga. Nel 2015, a 50 anni dalla scomparsa, a Gualtieri verrà istituita la fondazione museo a lui intitolata. Nel 2017 a Parma sorgerà un'altra fondazione omonima per conservare l'archivio dell'artista.