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5 gennaio

Oggi, ma nel 1968, a Cagliari, la sentenza d'appello del processo per il "giallo di Borore" (nella foto l'Unione sarda del giorno successivo), il presunto omicidio a fucilate di Domenicangela Atzas del 19 luglio 1961 sulla strada per San Lussorio, rimetteva in libertà Margherita Sequi, la maestrina di Orani condannata in primo grado a 21 anni di carcere, e il colonnello Antonio Lutzu che sempre nel primo processo aveva avuto una pena di 23 anni. Veniva confermato l'ergastolo per il marito della vittima, Francesco Lutzu, figlio di Antonio e amante della Sequi, considerato il mandante e l'organizzatore della messinscena. Francesco Lutzu aspettava contemporaneamente un figlio dalla Atzas e uno dalla Sequi e per questo l'opinione pubblica, in quello che verrà considerato il primo caso mediatico di cronaca nera della Sardegna, darà paradossalmente più peso all'adulterio che all'uxoricidio. Il presunto esecutore materiale del delitto Costantino Putzulu, invece, era già stato scagionato per insufficienza di prove. In realtà tutto era stato e sarà un processo indiziario. Il colonnello Lutzu dopo essere stato nuovamente imprigionato uscirà nel 1977, la Sequi verrà scagionata definitivamente nel 1978 e Francesco Lutzu finirà di scontare la pena nel 1985.