PALLA AL CENTRO

Calcio, la Spagna non è più un esempio

La sensazione è che si stia sgretolando un sistema, quello del calcio spagnolo. Un sistema che ha portato Nazionale e club sui tetti d’Europa e del mondo. Un esempio da esportare, a detta di tutti, che alla lunga si sta rivelando pieno di magagne. L’arresto del presidente federcalcio, Villar, coinvolto in un’inchiesta per corruzione, è solo la punta di un iceberg. I segnali di continui scricchiolii nascono da almeno un paio d’anni. Da quando il Fisco ha iniziato ad approfondire alcune manovre di mercato effettuate dai grandi club, Barcellona e Real Madrid in primis. Che, tanto per mettere in chiaro le cose, hanno vinto le ultime cinque Champions League alle quali vanno aggiunte le cinque Europa League (due dell’Atletico e tre del Siviglia) conquistate negli ultimi otto anni. Un dominio vero e proprio dovuto (anche) al fatto che i migliori calciatori al mondo, Messi e Cristiano Ronaldo, giocano nelle squadre più forti della Spagna. Questo per quanto riguarda i club, senza tener conto dei due titoli europei (2008 e 2012) e del Mondiale del 2010 vinto dalle Furie Rosse. Il trionfo del tiki taka, certo, avvantaggiato, però, da una fiscalità favorevole che ha permesso un enorme flusso di campioni stranieri. Nel 2005, infatti, il governo Aznar ha approvato la cosiddetta legge Beckham (abrogata poi nel 2010) che, prevedeva, tra l’altro, un'aliquota di tassazione ridotta dal 43% al 24% per tutti i lavoratori stranieri in Spagna con introiti superiori ai 600.000 euro annuali. Da qui il fiorire di campioni nella Liga che ha aumentato il livello tecnico del campionato. A distanza di anni, però si è scoperto che qualcosa non andava per il verso giusto. A partire dal trasferimento di Neymar dal Santos al Barcellona, annunciato per una cifra (oltre 50 milioni) salvo poi scoprire che era molto più consistente (una novantina di milioni). Nel maggio scorso, poi, l’arresto dell’ex presidente blaugrana Sandro Rosell per riciclaggio. E soprattutto le incursioni del Fisco. Sì, perché si è scoperto che i grandi campioni pagavano sì le tasse, ma non completamente. Spesso sono sfuggiti gli introiti percepiti per i diritti d’immagine. Lionel Messi, ad esempio, è stato condannato per evasione fiscale e sanzionato con una multa milionaria. In particolare sono finiti nel mirino diversi giocatori che sono stati al Real Madrid. Di Maria ha pagato 2,2 milioni per un’evasione di 1,3 milioni, oltre a una condanna a 16 mesi (da non scontare visto che l’argentino è incensurato e la pena è inferiore a due anni), Ricardo Carvalho ha saldato il debito con la giustizia versando 800mila euro. E poi ci sono i casi più eclatanti, tutt’ora aperti: le inchieste su Mourinho e Cristiano Ronaldo, anche loro accusati di aver evaso il fisco spagnolo. Talmente dirompenti che il portoghese (destinato ad aggiudicarsi il quinto Pallone d’oro della carriera) ha minacciato di lasciare il Rea Madrid. Fino ad arrivare all’arresto di Villar che fa il bello e il cattivo tempo in patria dal 1988 ed è anche ai vertici dell’Uefa e della Fifa. Un potente del calcio mondiale caduto in disgrazia per un’inchiesta per corruzione. Tanti indizi di un sistema che scricchiola. E cominciano a essere troppi per pensare che siano casi isolati. Tutto ciò va rimarcato senza che le vicende giudiziare vadano a intaccare il bello del calcio spagnolo. Gli stadi pieni e un calcio vissuto come un divertimento sono il lato bello di una medaglia che ha il suo rovescio nelle incursioni della magistratura penale e del fisco.

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