TURNO DI NOTTE

Dall'Africa all'Italia per vivere da schiavo

Lavorava come pastore 14 ore al giorno, con una paga di un euro e 50 centesimi all’ora e senza ferie. Le cronache non ci dicono il suo nome ma solo che è un giovane di 20 anni arrivato in Italia dal Gambia in Africa e finito a faticare sotto padrone in Puglia, dalle 5 del mattino, in una masseria dove dormiva su un giaciglio che è impossibile chiamare letto. I suoi padroni, un uomo di 51 anni e la sua compagna di 37, sono stati arrestati dalla squadra anti-caporalato dei carabinieri.

Secondo i carabinieri, il giovane pastore era «ridotto in schiavitù», senza alcun diritto. La sua vita era ridotta a questa miseria da un anno e mezzo. Storie come queste spingono il nostro sguardo verso la vittima. È giusto che sia così: una vita ridotta a fatica e null’altro ci terrorizza anche se non è la nostra. Ma sbaglieremmo a non riflettere anche sui presunti carnefici e sulle loro di vite.

Ciò che spaventa in questo tipo di rapporto schiavo-padrone è la capacità di continuare a vivere, come se nulla fosse, sapendo che il benessere dei nostri giorni e delle nostre notti dipende dal dolore di un’altra persona. È questo deserto di empatia umana che ci interroga come una sfinge, ponendoci domande alle quali non sappiamo dare risposte adeguate, capaci di aprire un varco in un universo senza redenzione, non illuminato dalla luce della grazia.

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