Il professor Clementi: L'Aquila e il suo contado

Il professor Alessandro Clementi, storico e autore di una storia dell'Aquila pubblicata da Laterza fa una riflessione sull'Aquila oggi e lancia qualche proposta.

Ho fatto un sogno: sto nella piazza del Duomo brulicante di mercanti, di contadini, di rigattieri, di Toccolani, tutti intenti a concludere piccoli affari, si aggirano anche nei vicoli che affluiscono alla piazza, la via di San Filippo, ovvero quella degli ‘scarpari’ dove sono in mostra le scarpe per i contadini prodotte in serie da botteghe, o si chiamavano anche ‘pontiche’, dove abilissimi artigiani staccavano i cuoi, montavano le solette, univano ad esse le tomaie, chiodavano le suole. La via del Suffragio, o quella dell’Arcivescovado, luoghi d’elezione dei ramai, che lavoravano i coppi prodotti dalla rameria di Tempera e che davano ad essi la forma di caldai, di treppiedi, di conche. La via degli Scardassieri, che era lontano ricordo dei cardatori dell’Arte della Lana, che era rifluita, come ultimo presidio operativo di essa, nel lanificio Mori. In via degli Scardassieri entro nella fumosa cantina dei ‘Falalana’, dove, appena concluso l’affare o il semplice acquisto, si consumava la porchetta che i paganichesi fornivano appostati coi loro banchi da seduttori al centro della piazza. In via Roio, ovvero la via dei Bastai e dei Sellai, dove si allineavano varde pronte a dar vita ai basti per gli ‘scecchi’, ovvero per asini e muli. Oppure sontuose selle che uscivano dalla ipotesi costruttiva dell’anima interna e che aspettavano nobili cavalli degli armentari benestanti o dell’aristocrazia del sangue. O in piazza San Biagio, che era il posteggio dei carri. Nelle stalle adiacenti si ricoveravano le bestie da traino ed i carri, liberi dai trainanti, alzavano al cielo le loro stanghe creando un paesaggio di invocazione al cielo. Lì v’era una trattoria per i carrettieri, che si chiamava, appunto, ‘degli asini’. Sognavo, e mi ha svegliato, ironia della sorte, un silenzio abissale di morte. La piazza era vuota, le case puntellate, la cupola delle Anime Sante coperta per quel che ne rimane, da tralicci e impalcature. Il sogno liberatorio da un incubo mi ha restituito, viceversa, una città viva che è ridivenuta per un attimo il centro di un hinterland operoso ed economicamente valido. Di lì, dal sogno, sono scaturite tante riflessioni certamente ingenue, di un non esperto, forse di un avventore di un bar dello sport. Mi son domandato: è possibile che la città riviva se non si fa rivivere il suo contado? Una considerazione di fondo che raramente si affaccia alla mente di chi può: la crisi della città inizia in maniera esponenziale dalla crisi del suo comitatus. Se non si ridà ad esso una vocazione economica, di cosa sarà capoluogo la città? Certo non ci saranno più i caldai, i basti, le selle, ma lo schema economico dovrà essere lo stesso: un capoluogo di un hinterland produttivo capace di esprimere un terziario eccellente che vive e si accresce su quella base in uno scambio economico di tutto rilievo. Ovvero sarà necessario rinnovare i fasti produttivi di un serbatoio di energia verde che furono i nostri pascoli d’altura, sfruttando tale serbatoio oltre che per un razionale allevamento, anche per essere offerto e tutelato dai parchi in una simbiosi tra natura e turismo compatibile. Sarà necessario anche valersi dell’opportunità che potrà offrire la promessa e non realizzata zona franca che dovrà essere supportata da indagini di natura economica che valgano a prospettare una credibile ripresa industriale, non affidata al caso ma a serie indagini di fattibilità da offrire agli investitori. Sarà necessario dar vita ad una seria politica turistica. Basterà ricordare che solo il terremoto ha fatto scoprire la validità della nostra offerta di turismo culturale. E che dire di quanto potrà realizzare la città con la sua primazia culturale? Scelte e proposte, alternative attuali, programmazione musicale di altissimo livello. Queste rapidissime citazioni, sono lì a dimostrare quali potenzialità culturali era in grado di offrire la città. Infine sarà necessario collegarsi strettamente alle università per trarne quelle linfe vitali che dovran fare della città un esempio di collegamento strettissimo tra i risultati scientifici della ricerca e gli indirizzi di politica economica che dovranno caratterizzare le scelte della politica. Mi sono svegliato da un sogno che ha rievocato il passato. Non vorrei essere entrato in un altro sogno che prefigura l’avvenire e che sia destinato a rimanere tale.

Alessandro Clementi