Nepal, numeri e vite distrutte

Forse sarà un problema solo mio ma confesso che in questi giorni mi riesce difficile seguire in tv, sui giornali e su internet le notizie che giungono dal Nepal devastato dal terremoto. E’ come se rivedessi e risentissi immagini e parole che sembrano uguali a quelle di sei anni fa. Nel Nepal la tragedia coinvolge un intero Paese e la scossa è stata molto più devastante rispetto a quella del sei aprile 2009 all'Aquila ma io penso ai singoli, alle famiglie, alle esistenze  distrutte, ai giovani che non avranno futuro. E mentre viene snocciolata la contabilità dei morti e dei feriti immagino che dietro a ogni numero c’è una persona che noi , lontani, dimenticheremo presto ma che aveva una sua vita, delle amicizie, dei figli. Chi è sopravvissuto vivrà per decenni il trauma e molti non vedranno la ricostruzione e la rinascita socio-economica. Il terremoto, come qualsiasi altra catastrofe, è così: per chi l’ha subìto e ne è rimasto segnato nel profondo, non finisce mai.

E proprio  mentre giungevano le prime notizie sul terremoto in Nepal mi sono trovato fra le mani un carteggio da cui emergono le complicazioni e le lunghezze burocratiche della ricostruzione aquilana in un intreccio fatto di cattiva politica, egoismi “privati”, incapacità di guardare alla comunità nel suo complesso stracciandosi le vesti solo per il proprio triste angolino (chi quell’angolino se l’è già risistemato coi soldi degli italiani pensa che tutto sia a posto e che chi si lamenta è solo perché è stato incapace di approfittare del sisma come gli altri: della serie, io sono furbo e tu tonto). Ne ho tratto la sensazione che le frazioni dell’Aquila quando saranno ricostruite (almeno 20-25 anni) non saranno i paesi che avevamo conosciuto ma agglomerati urbani indefiniti e senza luoghi identitari. Sarà la vittoria del terremoto e la sconfitta del buon senso e forse anche dell’intelligenza