Pista ciclabile in via Regina Margherita. Un passo nuovo per una città europea

13912607_10208585868838074_5510788843803785832_nSono partita per un ciclo viaggio in Europa ai primi di agosto e la nuova pista ciclabile di via R. Margherita, benché non finita, aveva già  iniziato a generare mugugni e polemiche. Sono tornata due giorni fa e ho constatato come quella pista colorata di azzurro sia diventata la protagonista delle pagine di cronaca del nostro quotidiano regionale, guadagnandosi perfino un posto in prima pagina. Per dire che? Principalmente per dire che è pericolosa e che genera caos traffico. Definizioni che, francamente, fanno sorridere se paragoniamo quel poco fatto con quei 500 metri di pista a quello che succede nel resto d’Europa.

In Germania e in Francia, dove sono appena stata, la condivisione degli spazi tra i diversi utenti della strada è la normalità. A Strasburgo, tutte le strade, e dico davvero tutte, hanno una corsia, un percorso, una striscia destinata alle biciclette e un’altra destinata ai pedoni, quando non c’è un vero e proprio marciapiede. Nessuna delimitazione fisica, nessun cordolo a imporre fisicamente il rispetto dello spazio dell’utenza diversamente mobile, ovvero non motorizzata. Il rispetto è reciproco, e il limite è di fatto invalicabile.

DSCF7555Ma capisco che sul piano della mobilità urbana il nord Europa è ancora molto lontano da noi. Per questo apprezzo ancora di più la portata rivoluzionaria della nuova pista, lunga  – è vero – solo 500 metri, ma avanti di dieci anni rispetto alla attuali piste cittadine. Un fatto eccezionale di cui pochi si sono accorti, forse neanche l’Amministrazione comunale che l’ha realizzata. Questo tratto di strada, che  è anche zona 30, potrebbe diventare l’inizio di un nuovo corso della programmazione della mobilità, in grado di incidere sulla cultura della città intera. Che si parli di ciclisti o automobilisti, le categorie più  interessate all’opera, entrambi vivono un cambiamento epocale: i ciclisti trovano affermato il diritto di riservatezza della carreggiata e quindi una garanzia di sicurezza, i secondi una chiara indisponibilità della strada a soddisfare in ogni luogo e momento le proprie esigenze di sosta. Insomma, le auto non possono più fermarsi in seconda fila, atto incivile e vietato dal CdS, e non possono invadere la pista ciclabile. Un richiamo alla cultura delle regole dettato dai soli cartelli che indicano dove si può  o non si può andare.

Siamo pronti a questo cambiamento? Dalle reazioni aDSCF7683caldo di molti, direi di no. Perfino molti ciclisti urbani ne colgono solo l’aspetto potenzialmente pericoloso, determinato, secondo loro, dai paletti (che pure sono rifrangenti e “collassabili”) o dal rischio investimento da parte delle auto che costantemente invadono la corsia delle bici. Come se questa fosse la normalità, o un diritto acquisito degli automobilisti!

Io, al contrario di molti, aspetto di vedere cosa succederà con la ripresa dell’anno scolastico, quando i genitori pescaresi così tanto protettivi con i loro figli non potranno più sostare in doppia fila per accompagnarli fino a dentro l’ ingresso della scuola. Saranno costretti a sostare a distanza e a fare qualche metro a piedi…. E sarà tanto faticoso trovare un posto che alla fine molto di loro dovranno rinunciare all’auto  e saranno  costretti a prende un mezzo pubblico o ad uscire a piedi.

924dfb26-5944-4a64-9889-76b8198f714cE non è rivoluzione culturale, questa?

E’ ora che una nuova mobilità esca dal buio della logica autocentrica della organizzazione della città, e prospetti strategie innovative, partendo soprattutto dalla bicicletta, strumento principe della intermodalità. Quei 500 metri di pista a doppio senso in una zona Trenta fanno ben sperare,  benché siano solo il punto di partenza di una città che potrebbe darsi in poco tempo una una nuova fisionomia, paragonabile, appunto, ad una città europea.

Laura Di Russo