TURNO DI NOTTE

Quei piatti conditi da troppe parole

Che strano destino hanno certe parole. Come canzoni di una sola estate, per breve tempo, sono onnipresenti e dominano i nostri discorsi per dissolversi poi nell'oblio. E' il caso di una parola come narrazione che dal suo alveo naturale, la letteratura, era tracimata altrove quasi senza freno. Oggi sopravvive fra i tavoli dei ristoranti dediti al culto della nouvelle cuisine, quelli dove ti servono, in piatti inutilmente spaziosi, microscopiche portate i cui ingredienti sono spesso oggetto di speculazione: sarà per caso peperone quella striscia rossa che circonda l'ectoplasma bianco che somiglia a una seppia? A diradare i dubbi ci pensano i camerieri o lo stesso chef. Ma la spiegazione del cibo che attendete di mangiare è spesso più lunga del tempo che impiegherete a spazzolare via la portata. La narrazione degli ingredienti e della preparazione si rivela spesso un condimento verbale che appesantisce un piatto nato con l'intenzione della leggerezza. Così capita non di rado, a fine pasto, di alzarsi appesantiti a dispetto della sobrietà delle portate. Sazi, più che di cibo, di parole.

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