«Arsenico nel fiume Pescara»: quattro gli arrestati

La procura antimafia mette ai domiciliari i vertici del Consorzio di Bonifica. Fermati il presidente Roberto Roberti e altri tre accusati di traffico illegale di rifiuti pericolosi e truffa, la Forestale sequestra il depuratore di Chieti

CHIETI. Dovevano depurare l’acqua invece l’hanno inquinata di arsenico e azoto sversati dal depuratore nel fiume Pescara e quindi nel mare. Lo hanno fatto «gestendo in modo privatistico una struttura pubblica», l’impianto per la depurazione dei reflui di Chieti a Selvaiezzi, «miscelando fanghi» per abbattere i fattori inquinanti, «camuffando le carte e le analisi» per ingannare l’Arta e «truffando 300mila euro al Comune di Chieti», parte offesa come lo sono, in ipotesi, anche migliaia di cittadini e turisti.

Chieti è una Bussi 2: è questa, in sintesi, l’accusa della procura distrettuale antimafia dell’Aquila, che ha chiesto e ottenuto quattro arresti domiciliari, per un periodo di 15 giorni, due interdizioni dalle attività imprenditoriali, ed i sequestri preventivi di 300mila euro a tre degli indagati, oltre che del depuratore di Chieti Scalo, affidato al professionista Andrea Colantonio, in veste di commissario. I sequestri sono stati eseguiti dagli uomini del Corpo Forestale. Ma a leggere le 154 pagine dell’ordinanza di misura cautelare si resta persino più basiti.

Agli arrestati Roberto Roberti, Tommaso Valerio e Andrea De Luca, rispettivamente presidente del Consorzio di Bonifica Centro, direttore e responsabile ecologico del depuratore incriminato, viene contestato il traffico illegale di rifiuti «catalogati in maniera arbitraria e falsificando i formulari di carico e scarico». Gli episodi gravissimi sono due. Il primo è avvenuto tra ottobre e novembre del 2015 quando dalla discarica di Bulera, Pisa, della società chimica Lardarello spa, sono arrivati a Chieti 1.090 tonnellate di rifiuti contenenti arsenico con un valore medio «di mille volte superiore al limite». Il secondo va dal 2013 al 2015 quando nel depuratore finirono rifiuti con azoto ammoniacale, dal valore medio superiore di 5 volte il limite «pur essendo l’impianto non adeguato e fornendo all’Arta dati non veritieri e manipolati». I tre, insieme al quarto arrestato, Stefano Storto, amministratore di un laboratorio analisi, sono indagati anche di inquinamento ambientale «per aver determinato l’inquinamento delle falde sottostanti lo stabilimento e del fiume Pescara». Il reato di truffa è invece riferito ai 300mila euro che, «con artifizi e raggiri», sono stati sottratti al Comune di Chieti, miscelando rifiuti e scaricando le spese extra sull’ente. Andiamo avanti: Roberti e Nicola Levorato, amministratore della società Depuracque, i cui impianti confinano con il depuratore, sono indagati per abuso perché il primo, dribblando le gare d’appalto, ha affidato al secondo i servizi di trasporto e smaltimento per 900 mila euro. Affidamenti diretti e abusivi, per somme inferiori, riguardano anche gli imprenditori Angelo De Cesaris e Fabrizio Mennilli, quest’ultimo indagato con De Luca anche di peculato per «fatture artatamente gonfiate». In questo modo – dice la distrettuale antimafia –Roberti «ha gestito in maniera privatistica la cosa pubblica favorendo imprese amiche». Tutto «a totale discapito della salubrità dell’ambiente. attraverso lo scarico nel fiume Pescara o le fuoriuscite dalle vasche di depurazione, e con la sistematica adozione di stratagemmi per occultare all’Arta le fonti d’inquinamento con le diluizioni dei campioni e le analisi falsificate».

Le accuse sono ancora da dimostrare in tribunale, così come la difesa può ribattere che sono le stesse ipotizzate un anno fa quando scattarono i primi sequestri al depuratore, ma non gli arresti. Tant’è che se si legge bene l’ordinanza si scopre che l’episodio più grave, quello dell’arsenico, è successivo al primo sequestro. Tutto riprese come prima e come se nulla fosse accaduto. Per la procura è così che stanno le cose: «Si deve rilevare che sussiste con chiarezza estrema il pericolo, concreto ed attuale, per l’acquisizione delle prove, in relazione alle posizioni di Roberti, Valerio, De Luca e Storto». In parole semplici, se i quattro non fossero stati arrestati, alle 6 di ieri mattina da una quarantina di uomini della Forestale che hanno perquisito 27 abitazioni e uffici, oltre all’acqua del Pescara avrebbero inquinato anche qualcosa d’altro: «Occorre fare sequestri in Comune, sentire altri dipendenti del Consorzio e di studi di certificazione. Le esigenze probatorie bilanciano il sacrificio della libertà personale», spiega l’accusa che così fissa in 15 giorni il periodo per concludere le indagini e quindi rimettere tutti in libertà. Ma l’arsenico è cancerogeno, l’Arta va potenziata e il sito di Chieti è inquinato come quello di Bussi, denuncia il Forum H2O, l’unico finora ad intervenire. Il resto è silenzio, di destra e di sinistra, perché i consorzi di bonifica, da che mondo è mondo, servono più alla politica che ai cittadini.