Atessa, Honeywell: lo sciopero non si ferma 

I 420 operai decidono di protestare a oltranza contro l’azienda: «Risposte arroganti e tardive, andiamo avanti»

ATESSA. Si andrà avanti con lo sciopero a oltranza nella vertenza Honeywell. Lo hanno deciso i rappresentanti sindacali territoriali di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil ieri mattina a seguito delle assemblee sindacali con i lavoratori e dopo l’incontro, martedì sera a Roma, con il ministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda. Un confronto sereno, che ha visto l’impegno personale da parte di Calenda con la messa a disposizione di ulteriori fondi governativi per scongiurare la delocalizzazione dello stabilimento di Atessa, ma che ha deluso moltissimo le parti sociali per la risposta, considerata «arrogante» dei vertici aziendali che hanno fatto sapere di poter dare risposte solo tra un mese.
La protesta. Lo sciopero dunque prosegue. I 420 dipendenti della Honeywell e i sindacati a questo punto della vertenza, e di fronte «all’inaccettabile immobilismo dell’azienda», non possono, nè vogliono indietreggiare su una protesta che va avanti dal 18 settembre, con presidio permanente davanti ai cancelli dello stabilimento e il coinvolgimento di tutto il territorio. Ma la decisione di proseguire con lo sciopero non è stata presa a cuor leggero. I dipendenti sono ormai sfibrati da tante giornate di lavoro perso, che si traducono in altrettante di mancata retribuzione in busta paga. E per famiglie alle prese con un mutuo, con un solo reddito, con figli, la situazione è già drammatica, senza aspettare che la Honeywell di Atessa chiuda i battenti. Il dado è tratto, però. Si andrà avanti fino a che l'azienda non dimostri un minimo di apertura e fornisca un piano industriale di lungo respiro.
Questione nazionale. Di certo c’è che il ministro Calenda ha dimostrato di aver preso a cuore le sorti della fabbrica dei turbo. Sono già due gli incontri che sono stati organizzati al Mise, prima con il vice presidente della giunta regionale Giovanni Lolli e i vertici aziendali e poi con i sindacati, martedì sera. Calenda ha anche ricevuto nella stessa sede il governatore Luciano D’Alfonso. Ma c’è una falla evidente in questa vertenza che coinvolge, complice la globalizzazione spinta, vertici americani della multinazionale dei turbo (impegnati peraltro nello spin off del business in due società), dirigenti francesi, Governo italiano e fabbrica della Val di Sangro: non c’è legge, o impegno ministeriale che possa impedire a una multinazionale di fare come meglio ritiene per i propri stabilimenti. Perfino alla domanda del ministro, così come ha raccontato martedì sera il segretario generale della Fim, Marco Bentivogli, di scrivere nero su bianco che non si vuole delocalizzare, l’azienda ha comunicato solo che risponderà entro il 15 novembre.
Le perdite. Intanto ogni giorno di sciopero che si accumula costa non solo ai dipendenti, ma anche all’azienda che si trova a produrre lo stesso numero di turbo con tre stabilimenti in Europa invece che con quattro. Ultimamente nella fabbrica di Atessa (abituata, fino a qualche anno fa, a produrre oltre un milione di turbo l’anno) si realizzano circa 2.200 turbo al giorno. Un numero che, moltiplicato per le giornate produttive di un mese, sfiora i 50 mila turbo persi in questi oltre 30 giorni di sciopero ad oltranza. Secondo una stima della Fiom, la Honeywell starebbe pagando un milione di dollari al giorno per far fronte ai ritardi produttivi, alle commesse saltate per i clienti e ai trasporti eccezionali bloccati oppure trasferiti altrove. Intanto, come ha riferito dal segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, «le parti si sono lasciate con l’impegno del ministro Calenda ad organizzare una conference call, senza attendere quel mese che i vertici aziendali si sono dati per rispondere sul futuro dello stabilimento abruzzese».
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