Cattedrale nata sui resti del tempio di Ercole

San Giustino, il duomo dedicato al patrono sentinella e simbolo dell’antica Teate

CHIETI. “Ampla et vetustate nobilis” per dirla con Ferdinando Ughelli (Italia Sacra, 1642), monaco cistercense tra i principali storici ecclesiastici italiani. Dunque “nobile per grandezza e antichità”, una definizione che accredita la cattedrale di San Giustino di una radicata tradizione nel panorama delle monumentalità sacre della penisola. Imponente, eppur proporzionato nei delicati equilibri architettonici articolati in un lasso temporale di oltre mille anni, il duomo teatino, con il campanile che svetta di oltre 50 metri dal piano di calpestio della piazza, si propone come il simbolo della città, immediatamente percettibile dalla vallata e dai rilievi pedemontani.

Nelle sue vicende, nel fascino e nelle ricche testimonianze artistico-religiose, c’è lo spaccato più autentico della storia di Teate. Prosegue con quella dedicata alla chiesa cattedrale, nel particolare della loggia che affaccia su palazzo Mezzanotte, l’iniziativa del Centro sulle foto d’epoca delle principali città abruzzesi.

Le prime fonti storiche sull’edificazione di un edificio di culto sul colle San Gallo, oscillano dal IV secolo, nell’ipotesi più remota di basilica neocristiana, all’VIII secolo, nella ipotesi che collega la parziale distruzione del tempio (poi riedificato dall’840 al 1069) al rovinoso sacco della città, perpetrato nell’801 dal re franco Pipino il breve.

Con ogni probabilità il nucleo originario della chiesa, non è certo se coincidente con la sola cripta, viene eretto sui resti di un tempio pagano dedicato a Ercole e del quale ci sono importanti reperti, purtroppo reinterrati dai lavori di consolidamento disposti negli anni 70 dall’arcivescovo Loris Capovilla, sotto il prezioso fonte battesimale (1599).

Nel 1335 vengono innalzati i primi tre piani del campanile, ingentilito da bifore che anticipano l’imminente Rinascimento. Nel 1498 è eretta la cella campanaria di forma ottagonale, successivamente dotata di una cuspide crollata a causa del terremoto del 1706 e ricollocata solo nel 1931. Di impianto armonioso, con tre navate e transetto a cupola, la cattedrale, inizialmente dedicata al culto di san Tommaso apostolo e della Vergine Assunta, ricalca, con il presbiterio sulla cripta, l’impianto delle basiliche benedettine abruzzesi. Secondo alcune fonti, Urbano II bandì la prima crociata dalla cattedrale teatina.

In realtà la decisione fu assunta durante il concilio di Clermont-Ferrand (1095), mentre l’allora papa, al secolo Ottone di Lagery, venne in Abruzzo e anche a Chieti (1097?) a fare proseliti per la guerra santa (dal Chronicon Casauriense, 1200). Sull’altare maggiore, ingentilito da un paliotto marmoreo di scuola napoletana (1769), che rievoca l’offerta delle insegne episcopali dei teatini a Giustino eremita, spicca la pala titolata alla incredulità di san Tommaso (Saverio Persico, secolo XVIII).

Le cappelle dedicate alla Mater Populi Teatini (statua lignea rinascimentale di pregevole fattura, XVI secolo), a San Gaetano da Thiene (pala attribuita a Ludovico De Majio, 1738), a Giustino vescovo (copia di scuola romana del busto del santo), al santissimo Sacramento (con l’armadio reliquiario che custodisce, tra l’altro, la mandibola di San Giustino) e alla “vestizione” (cappella del segretariato, tele di Saverio Persico raffiguranti la Cena di Betania e L’Ultima cena) sono le tappe obbligate di una palpabile fede itinerante e di un percorso artistico di inestimabile spessore che trova riscontro in decine di altri angoli non meno significativi.

Cenno a parte merita la cripta, di pianta irregolare articolata in sei navate a volte basse a crociera, sottoposta nel 1970 ad un contestato restauro che ne azzerò le pregiate decorazioni barocche. La chiesa inferiore ospita, nei pressi della cappella del Sacro Monte dei Morti che custodisce i simboli della passione del Venerdì santo, il busto in bronzo argentato raffigurante San Giustino vescovo, opera dell’artista teatino Luciano Primavera.

Collocati in un’urna marmorea alloggiata sotto l’altare della navata centrale i resti del patrono sono stati oggetto, nei secoli, di alcune ricognizioni (1580, 1592, 1884) atte a certificarne l’autenticità. L’ultima, risalente al 1997, è stata svolta, sotto l’episcopato di Edoardo Menichelli
, ora vescovo di Ancona, da una commissione presieduta dal presule e composta dall’allora vicario generale, don Panfilo Argentieri, da don Antonio Chinni, parroco-rettore della cattedrale, e da Romano Liberati, Camillo Gasbarri, Carlo Bussetti, Angelo Masciarelli, Antonio Catinella, Vincenzo Fioriti, suor Rosalma Caia, Antonio Stefanile, Raffaele Peca, Pietro Carisio, suor Ester Mangiolia, Antonio Graziani.

Gli esiti di questa verifica sono riportati nel volume “San Giustino vescovo di Chieti“ di Antonio Chinni (ristampa), un accurato lavoro sulla vita del santo (IV secolo) e sui miracoli attribuitigli tra cui quello “della colomba”, che salvò Teate dai saraceni di Soliman pascià (IX secolo), e quelli della preservazione dai catastrofici effetti dei terremoti del 1703 e 1706.

«La rigorosa ricognizione da noi compiuta sul contenuto dell’urna», spiega monsignor Chinni, «ha definitivamente confutato alcune dicerie, purtroppo circolate anche in ambienti vicini alla diocesi, che contestavano la natura umana dei resti ossei e, quindi, il culto stesso di San Giustino.

La devozione a questo straordinario pastore», conclude don Chinni, «è dunque motivata anche da precisi riscontri scientifico-documentali che hanno rinsaldato il rapporto tra la città reale e il suo patrono».