Chieti: scoperta la truffa dei prestiti, 42 indagati 

Società fantasma e documenti falsi per ottenere soldi dalle finanziarie: sotto la lente 424mila euro di fidi rimasti scoperti

CHIETI. Ottenevano prestiti dalle finanziarie attraverso un giro di aziende fantasma, finti dipendenti e documenti farlocchi. Poi, però, non pagavano le rate. La polizia ha scoperto un maxi imbroglio messo a segno da una banda con base in provincia di Chieti e tentacoli in Campania, Lazio e Marche. In 42 rischiano di finire sotto processo: 7 di loro devono rispondere di associazione per delinquere finalizzata alla truffa aggravata e alla sostituzione di persona. Secondo l’accusa, a rimanere vittime dell’inganno sono state 5 società: la Progetto finanza, la Futuro spa, la Bnl finance, la Terfinance e la Pitagora finanziamenti. Il danno procurato nei loro confronti è di oltre 424mila euro per un totale di 18 operazioni illecite portate a termine; in altri 7 casi l’imbroglio non si è concretizzato per «fattori estranei alla volontà degli imputati». I prestiti venivano concessi dopo la sottoscrizione di un contratto che prevedeva la cessione del quinto dello stipendio. Ma, dopo il pagamento delle prime rate, i beneficiari non versano più un centesimo. Le indagini, coordinate dal sostituto procuratore Giuseppe Falasca (nella foto), sono state portate avanti dalla polizia postale di Chieti e dalla sezione di pg della polizia di Stato.


LA DENUNCIA. L’inchiesta è nata da una segnalazione di Poste italiane. I dipendenti dell’ufficio di Chieti Scalo, infatti, si sono insospettiti per il comportamento di alcuni clienti, quasi tutti provenienti dalla Valle Peligna e dal Napoletano. I personaggi in questione, dopo aver aperto libretti postali e carte Postepay accreditando cifre irrisorie, tornavano dopo alcuni giorni e versavano assegni bancari con importi compresi tra i 20 e i 30mila euro. Quindi, trascorsa la settimana prevista per ottenere la monetizzazione degli importi, si ripresentavano e chiedevano di riscuotere quelle somme in contanti. Quando gli operatori dicevano loro che non era possibile portare a termine l’operazione per la normativa antiriciclaggio, i clienti ritiravano parte degli importi in contanti e parte tramite l’emissione di vaglia circolari a nome di altri soggetti.

LA GANG. A quel punto sono scattati gli accertamenti e, secondo la procura, è emersa l’esistenza di un’associazione per delinquere composta da 7 persone: Domenico Cantoli, Cesare Mariani, Fabrizio Lepore, Angela Panella, Gabriele Arrotino, Christian Benna e Ivano Bernardoni. Tutto girava intorno a 5 aziende a disposizione del «gruppo criminale». Parliamo di società «non più operanti all’epoca dei fatti», come Tekram, Cimes e Dinia, oppure «del tutto fittizie»: è il caso della Rz elettronica e della Body art, «con una sede virtuale a Roma e dotate di solo recapito telefonico con deviazione di chiamata sull’utenza in uso a uno degli imputati, Massimo Bernardoni». La banda è riuscita a individuare una serie di «teste di legno» che, dietro compenso, accettavano di figurare come falsi dipendenti delle aziende fantasma in modo tale che, dietro la cessione del quinto dello stipendio, si mettevano nelle condizioni di ricevere finanziamenti da alcune società. Queste ultime venivano indotte in errore con una serie di documenti contraffatti: dalle buste paga dei dipendenti (in realtà fittizi) fino al Cud. I prestiti ottenuti «fraudolentemente» si aggiravano tra i 15mila e i 30mila euro ciascuno. Una volta accreditati gli importi, i beneficiari li ritiravano immediatamente. Per impedire che «la truffa ordita in danno delle società di credito fosse scoperta prima che potessero conseguire altri finanziamenti», talvolta gli imputati pagavano la prima rata. Poi, il nulla.
RISCHIO PROCESSO. Nei giorni scorsi la procura ha presentato la richiesta di rinvio a giudizio: l’udienza preliminare, davanti al giudice Isabella Maria Allieri, è fissata il 17 aprile. Gli imputati sono difesi, tra gli altri, dagli avvocati Andrea Di Lizio, Giacomo Cecchinelli, Tullio Zampacorta, Federica Mancini e Paolo Zaccardi.