Di Primio firma la resa: «No ai ricatti, mi dimetto» 

Il sindaco scaricato dalla maggioranza cede, non ha più i numeri per governare

CHIETI. La resa del sindaco arriva prima di pranzo. Dopo 28 minuti di conferenza stampa, Umberto Di Primio prende atto della sua sconfitta. L’ennesima battuta d’arresto, d’altronde, non consente altre vie d’uscita. «Rassegno le mie dimissioni», dice Di Primio dopo che è andato a vuoto il consiglio comunale decisivo sul bilancio. È il momento chiave di una mattinata che scrive la parola fine della sua amministrazione, ormai sfilacciata e litigiosa. Una maggioranza che, come dimostrano i numeri, non può essere più definita tale. Basti pensare che il primo cittadino, riferendosi ai 5 consiglieri di Forza Italia e ai 2 dell’Udc che hanno disertato la seduta, utilizza termini come «ricattatori» e pronuncia frasi del tipo «non posso pensare di accettare la viltà di chi si nasconde dietro a un dito e tira pietre». Eppure giovedì scorso, di buon mattino, Di Primio si affrettava a rassicurare tutti su Facebook parlando di una maggioranza «senza nessuna tensione e/o frizione». Ma quella riunione serale era stata solo una mossa disperata per provare a salvare la baracca. Adesso il sindaco ha 20 giorni di tempo per ripensarci. Ma lo spettro del commissariamento è sempre più vicino.
MANCANO I NUMERI. La seduta del consiglio comunale comincia alle 9.30. Come annunciato, i consiglieri di Forza Italia non si presentano (Marco D’Ingiullo, Maura Micomonaco, Emiliano Vitale, Maurizio Costa ed Elisabetta Fusilli). Non perdonano al sindaco che l’assessore Carla Di Biase, candidata in Regione senza il benestare di Mauro Febbo (punto di riferimento dei ribelli), sia ancora in giunta nonostante la riconsegna delle deleghe; inoltre la stabilizzazione dei 48 precari della Teateservizi è in bilico. Restano fuori dall’aula anche due consiglieri dell’Udc, Mario De Lio e Roberto Melideo, che chiedono conto degli aumenti sulla Tari e, a loro dire, non hanno ricevuto risposte. Di Primio sa bene che non ci sono i numeri per approvare il bilancio. E allora resta nel suo ufficio, mandando in avanscoperta il vice Giuseppe Giampietro. Per tentare di evitare la bocciatura, la maggioranza (o meglio, quel che ne resta) chiede il ritiro di tutte le delibere ancora da approvare. L’opposizione alza la voce, perché ritiene che questa opzione debba essere votata da tutta l’assemblea. Così, dopo un’interruzione di pochi minuti, arriva il sindaco in persona per reiterare la richiesta. Alle 10.22 il presidente del consiglio comunale Liberato Aceto accorda il ritiro e scioglie la seduta. A quel punto Di Primio va via e convoca una conferenza stampa nel suo ufficio.
L’ADDIO. L’annuncio delle dimissioni è preceduto da una lunga dissertazione. Di Primio è teso. Basta lo squillo del cellulare di uno dei suoi fedelissimi per fargli perdere la pazienza. La premessa lascia sorpresi i presenti: «L’amministrazione comunale», dice, «si trovava e si trova in un momento assolutamente positivo». Ma la realtà dice altro: non ci sono neanche i numeri per approvare il bilancio. Di Primio evita di affrontare i temi legati all’aumento delle tasse, agli asili nido chiusi e agli scuolabus soppressi. Nessun accenno neanche ai parcheggi a pagamento bloccati da un mese e mezzo e a piazza San Giustino nel degrado. Il sindaco descrive Chieti come una città proiettata al futuro. Parla di 37 milioni di euro di lavori da appaltare e ora a rischio, anche se quei progetti – almeno al momento – sono fermi ai banner pubblicitari piazzati lungo corso Marrucino. Di Primio attacca pesantemente l’operato di Teateservizi, la società a totale capitale del Comune che si occupa della riscossione dei tributi, della gestione dei parcheggi e dei servizi cimiteriali: «Se la società avesse delle performance eccezionali, gli daremmo il premio di produzione. Ma tutti mi dicono che le cose non funzionano: perché dovrei conservare un aggio che è fuori mercato? Mi meraviglia che ci sia una difesa dei privilegi», sottolinea riferendosi alle richieste di Forza Italia. Di Primio dice no a un finanziamento extra al teatro Marrucino di 70mila euro («Perché regalare questi soldi se non li hanno neanche chiesti?»), rivendica i lavori fatti per le case popolari («Il problema era il bagno di una signora, ma noi abbiamo fatto molto di più») e dice che il piano commercio «è pronto». Quanto alle richieste dell’Udc, il sindaco precisa: «Ci sono stati fatti notare dei presunti errori sulla Tari e abbiamo dato una risposta. In ogni caso, questa vicenda non c’entra nulla con il bilancio da approvare». E poi rivela un aneddoto con un pizzico di orgoglio: «Il fatto di essere riconosciuto al supermercato da una bambina di sei anni, come accaduto ieri mattina, mi ripaga molto più della prova di forza che qualcuno sta facendo».
LA LETTERA. I motivi delle dimissioni sono racchiusi in una lettera di 25 righe. Di Primio ammette che «quella maggioranza uscita dalle urne, nel 2015, in aula non è più la stessa». Poi, un attacco ai dissidenti: «Non tutti hanno compreso che il danno provocato oggi alla città con la loro assenza. Non aver approvato il bilancio neppure oggi vuol dire danneggiare l’intera comunità e le ditte che aspettano di essere pagate dal Comune. Mai mi piegherò ai vecchi riti della politica, mai potrò accettare l’insipienza di una classe dirigente che non ha avuto a cuore il bene comune ma ha guardato a quello particolare», conclude tra i timidi applausi dei suoi fedelissimi.
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