IL RICONOSCIMENTO

La Cassazione: gli infermieri hanno il diritto di cambiarsi

Nuova sentenza valida per gli ospedali di Chieti, Guardiagrele, Lanciano e Vasto: «Indossare la divisa serve all’igiene, il tempo necessario dev'essere retribuito». Rischio stangata per la Asl

CHIETI. Il tempo per indossare e dismettere la divisa da lavoro in ospedale è da considerare prestazione di lavoro e come tale va retribuito. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione sezione lavoro che si è pronunciata sul contenzioso sorto tra decine di infermieri e la Asl Lanciano-Vasto-Chieti in relazione al riconoscimento del diritto alla retribuzione per il tempo impiegato nella vestizione e svestizione della divisa. Una circostanza che può rivelarsi una stangata per l’azienda sanitaria per il pagamento di anni e anni di arretrati contestati dagli infermieri.

La domanda dei lavoratori era stata già accolta dai giudici di merito, secondo cui indossare e dismettere la divisa di lavoro rappresenta per gli infermieri un’attività obbligatoria, accessoria e propedeutica alla prestazione di lavoro. Ancora, sottolineava la Corte territoriale, si tratta di «attività dovuta per intuibili ragioni di igiene, da effettuarsi negli stessi ambienti dell’azienda e non ovviamente da casa, prima dell’entrata e dopo l’uscita dai relativi reparti, rispettivamente, prima e dopo i relativi turni di lavoro».

La Cassazione ha confermato questo orientamento, respingendo definitivamente il ricorso in appello proposto dalla Asl. Secondo la sentenza, le attività di vestizione e svestizione non sono svolte nell’interesse dell’azienda, bensì dell’igiene pubblica e, come tali, devono ritenersi implicitamente autorizzate dall’azienda stessa e danno diritto alla retribuzione.

«A distanza di otto anni dall’inizio della vicenda», interviene Vincenzo Pace, segretario provinciale del Nursind (sindacato delle professioni infermieristiche), «si decreta la parola fine su una lunghissima serie di contenziosi, di cui ancora una quindicina sono in corso solo per il nostro sindacato, per salvaguardare un sacrosanto diritto del lavoratore. Spiace prendere atto che un’azienda sanitaria, nonché datore di lavoro, si ostini così tanto nella strenua volontà a non riconoscere tale diritto riconosciuto da numerose pronunce della Cassazione (tra cui Pescara, ndc)».