«La mia città non può morire» Perrotti e la sfida salva-Chieti 

Il presidente del Comitato cittadino e la battaglia per rivitalizzare il centro storico Giornalista e governatore del Sacro Monte dei Morti: «Dico no ai piccoli interessi»

CHIETI. «Quando penso alla suggestione della Processione del Venerdì Santo o all’incredibile panorama che si ammira dal belvedere della Civitella, mi convinco che Chieti non può essere destinata a morire così». Una riflessione, quella di Giampiero Perrotti, che suona come atto d’amore verso la propria città. E tutta la sua storia, quella di un “gentiluomo d’altri tempi”, come viene spesso definito, è orientata in tale direzione.
ARRIVA L’UNIVERSITÁ. Gli “altri tempi” di Perrotti? Lo vedono subito coinvolto nella sua grande passione: il giornalismo. «Ho imparato a leggere sui titoli del giornale che comprava mio padre e già a scuola, ai tempi del liceo classico Vico, mettevo assieme ciclostilati, come si chiamavano allora, dal titolo “Il merlo: fischia quando e come può”. Poi ci fu “L’antenna”, che risale ai tempi trascorsi nella Fuci mentre mi ero iscritto alla facoltà di Giurisprudenza a Bologna senza mai abbandonare la mia città. Conseguenziale l’immediato impegno nella lotta affinché la d’Annunzio, allora agli albori, ottenesse il riconoscimento di Libera Università degli Studi. Nacquero comitati, si raccoglievano firme ed ero sempre in prima linea nei rapporti con le istituzioni. Allora, tra il sindaco di Chieti Nicola Buracchio e quello di Pescara, Antonio Mancini, c’era una proficua sinergia che portò alla realizzazione di opere strategiche con diecimila posti di lavoro nella zona industriale. Da questo rapporto arrivò anche la “nostra” università creando una certa rivalità con i colleghi dell’Aquila. Ricordo che ogni anno si organizzavano tornei per stemperare un po’ gli animi: nella pallavolo ci travolgevano, nel basket eravamo decisamente superiori, molto incerto l’esito delle sfide di calcio. Il centro storico, già sempre affollato, brulicava di studenti, la facoltà di Lettere si trovava nei locali ora occupati dal comando dei vigili urbani mentre quella di Medicina aveva trovato spazio nel vecchio carcere di via Nicolini».
VITA DI REDAZIONE. Nel frattempo, era arrivata la nomina di responsabile della redazione teatina del quotidiano Il Tempo. «Oltre trent’anni di lavoro a raccontare piccole e grandi storie. In pagina cercavo di trovar spazio per ogni notizia ma, allora, il problema maggiore era rappresentato dalla trasmissione delle fotografie che, a volte, rendeva necessaria anche una corsa in auto verso la tipografia di Roma». Giornalista appassionato, affabile ma estremamente rigoroso, della città conosce pregi e difetti. «Nei primi anni Ottanta, l’assessore Andrea Poillucci ipotizzò la realizzazione di una cabinovia di collegamento con lo scalo ma non fu preso sul serio, magari anche travolto dal solito “ma ca da fa cussu”. Sarebbe stata una svolta per una città divenuta sempre più bipolare e dove un clientelismo eretto a sistema ha poi indotto a pensare solo a piccoli interessi, senza alcuna visione critica».
LE FIRME DEL COMITATO. C’è chi è scappato via da tempo e chi continua a fare i conti con una puntuale perdita di posti di lavoro. «Che ha portato a una desertificazione del centro storico nonostante la presenza di ben 80 associazioni. Si è allora pensato di unire le forze dando vita al Comitato cittadino per il rilancio e la salvaguardia di Chieti. Mi hanno affidato il ruolo di coordinatore, ne sono orgoglioso e la circostanza mi responsabilizza parecchio anche se mi conforta pensare come, in appena un mese, sono state raccolte 8.050 firme per la realizzazione, all’ex ospedale militare della villa comunale, di una cittadella della cultura. Inoltre, a breve, nell’ambito del progetto nazionale “caserme dismesse” dovrebbero iniziare i lavori del polo amministrativo nell’area dell’ex caserma Berardi al Sacro Cuore. Sempre tra tanti, forse troppi intralci burocratici». Ma si va avanti. Chieti: città d’arte e di cultura. «Per essere davvero tale, la presenza ed il contributo dell’Università sono determinanti. Abbiamo fiducia. Ci sono ragazzi che si laureano alla d’Annunzio senza aver mai visto il centro storico della città. Il campus è splendido, una grande risorsa, ma, a suo tempo, credo che trasferirvi tutte le facoltà letterarie sia stata una scelta sbagliata. Riportare ora sul colle almeno un corso di laurea e qualche ufficio amministrativo sarebbe la strada più rapida per evitare il moltiplicarsi delle ormai tristemente famose “scatole vuote”». Il tutto con il garbo, l’accurata analisi e la competenza di sempre.
I VOLTI DELLA PROCESSIONE. Tre anni fa, la nomina di governatore dell’Arciconfraternita del Sacro Monte dei Morti che da secoli organizza la Processione del Venerdì Santo. «Un grande onore perché la processione del Cristo Morto a Chieti rappresenta un evento identitario. Scandisce e segna il trascorrere del tempo, il succedersi delle generazioni. C’è un profondo senso di appartenenza in quel brivido che accompagna le note del Miserere di Selecchy in una particolare serata di primavera tra volti che rappresentano la fotografia della tua città. Per chi è nel lungo corteo oppure ai lati del percorso, per chi è rimasto e per coloro che sono andati via. Anni fa, in un incidente stradale, perse la vita Alfredo Maiella, storico violinista del Miserere, e da allora i suoi figli, alcuni dei quali lavorano lontano, fanno di tutto per essere presenti. Con il loro violino, tra gli altri musicisti. Difficile spiegare. È così». E solo chi ama la propria città come Giampiero Perrotti può capirlo.