Chieti

Morto dopo il rogo in auto, lei piange: dovevo salvarlo

Roberto si arrende dopo due giorni di calvario per le ustioni riportate nell'incidente di Brecciarola, la ragazza ora dice: non voleva uccidermi, è un dolore che mi strazia

CHIETI. Roberto non ce la fa, muore dopo due giorni di calvario. Sara non si dà pace, piange e ripete: «Dovevo salvarlo, potevo salvarlo». Lui, Roberto Di Cecco, 38 anni, di Turrivalignani, musicista e docente al conservatorio di Trieste, si arrende nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Bari alle 9,30 di ieri. Ma le speranze di salvarlo erano già finite domenica notte, dopo lo schianto in auto a Brecciarola, insieme alla ragazza Sara Godoj, pescarese di 23 anni, che gli stava accanto. E dopo il rogo che ha avvolto la Ford Fiesta grigia e il corpo di Roberto ma ha risparmiato lei tirata fuori dall’abitacolo da un residente che, in quell’attimo, era il suo angelo custode. Sara si salva ma vede il suo ragazzo mentre le fiamme lo devastano e da quel momento sente dentro di sè solo un enorme senso di colpa.

leggi anche: E' morto l'uomo che con l'auto voleva uccidersi e ammazzare la donna Non ce l'ha fatta il musicista Di Cecco che dopo l'incidente sulla Tiburtina aveva riportato l'80 per cento delle ustioni sul corpo. Salva la fidanzata

«Non voleva uccidermi, è stata una fatalità», adesso ripete distesa sul letto d’ospedale per dimenticare ogni ricordo di un incubo vissuto e di un’inchiesta penale sul suo Roberto che fino a ieri ipotizzava una tragedia voluta per uccidersi e ammazzare. Un omicidio-suicidio la prima ipotesi della procura di Chieti che la morte ormai ha cancellato per sempre.

Il racconto di quegli attimi agghiacciati si attenua e la pietà contagia tutti dopo che la tragedia ha raggiunto la vetta più alta. Sono le 13 di ieri quando il papà Dino Godoj, la sua compagna e un gruppo di amici, entrano nella stanza numero 12 della clinica Chirurgica del policlinico di Chieti diretto dal professor Paolo Innocenti. Ma Sara non sa ancora che Roberto è morto per le ustioni gravissime sull’80 per cento del corpo. «E non deve saperlo. Ci penserà la psicologa ad aiutarla a farsi capace», si raccomanda il papà, un autista argentino che, in passato, ha lavorato come trasportatore della clinica privata Villa Pini d’Abruzzo.

Sara ha i capelli rossi e ricci raccolti sulla testa, indossa un pigiama bianco e fucsia e piange per il rimorso e il senso di colpa. Nessuno, in quella stanza a tre letti, può parlare dell’incidente e della tragica fine del musicista di Turrivalignani morto da indagato per tentato omicidio e sequestro di persona. Ma, nel pomeriggio, Sara viene informata e per lei è come un pugno nello stomaco: apre il suo profilo Facebook e scrive: «Un dolore che non ha fine. Un dolore che mi strazia l’anima». E che comincia da un banale sms che diventa un maledetto equivoco finito in tragedia. E’ una ex ragazza di Roberto, una tal Serena, che invia a quest’ultimo il messaggio che Sara scopre. «Nell’ultimo periodo era tutto una litigata», racconta papà Dino, «ma adesso lei piange perché si sente in colpa per non averlo tolto dal fuoco». Dal lunedì al mercoledì, Di Cicco insegnava musica a Trieste. Giovedì, venerdì, sabato e domenica, invece erano i giorni da dedicare a Sara, e da trascorrere insieme a Turrivalignani, o nella sala di ballo latino americano in viale Bovio a Pescara. «Era un ragazzo buono, un tipo tranquillo, un musicista bravissimo», continua Dino, mostrando la sua pietas, cioè la capacità di andare oltre ogni rancore quando di mezzo ormai c’è la morte. Quel giovane che poteva strapparle per sempre la figlia resta un bravo ragazzo, vittima di un equivoco. Un sms che lei continuava a rimproverargli, mossa dalla gelosia e dall’esuberanza dei 23 anni. Una piccola vendetta, veniale e adolescenziale, Sara se l’era presa andando a danzare con un altro ragazzo. Ma domenica sera erano tornati insieme nella sala da ballo. Lui però rimprovera a lei di essere troppo insistente con la storia dell’sms e se ne va incavolato. Sara rimane da sola dentro il salone, ma poi esce e trova Roberto che la sta aspettando dentro la macchina. Lei prova a far pace: «Vengo pure io, che mi lasci sola?», gli dice. E lui esce di scatto, la prende di forza e la porta nella Ford Fiesta. Da qui nasce la prima ipotesi fatta dal pm, Giuseppe Falasca, di sequestro di Persona.

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Sono le 21,40 di domenica quando Roberto urla nell’abitacolo dell’auto verso Sara per farla smettere, una volta per tutte, di parlare del messaggino. E con la Ford, il giovane musicista, comincia a correre per spaventarla facendo zig zag ad alta velocità. «Ma non mi ha mai detto ora ci ammazziamo oppure ti uccido», racconta lei al padre.

«Era nervoso, urlava. E Sara era incavolata per quell’sms. Hanno discusso nel salone da ballo e in auto. Ma lei ora piange e dice che Roberto non ha fatto l’incidente apposta. Si volevano bene e Sara gliene vuole ancora». Ma Roberto, quella sera, continua a fare zig e zag anche nell’ultimo tratto dell’Asse attrezzato, sull’asfalto bagnato dalla pioggia. E poi in semicurva, dove la superstrada finisce sfociando sulla Tiburtina. Sarà è ammutolita mentre il ragazzo fa l’ultima tragica sterzata e l’auto gli sfugge, tocca il marciapiede a destra, si mette di traverso e si schianta come un proiettile contro il muretto di cemento che regge il cartellone della Coal. Il serbatoio si squarcia e una scintilla causata dall’urto innesca il rogo che divora la vita del musicista e segna per sempre l’esistenza di Sara.