«Operai, caffè e amore» Svelate le parole in codice 

Gli indagati parlavano poco al telefono e cambiavano schede continuamente Gli ordini viaggiavano via chat. E un capo si sfogava così: «In barca io rischio»

CHIETI. Li chiamavano «operai». Ma non hanno mai messo piede in una fabbrica: il loro lavoro era vendere le dosi e custodire cocaina e marijuana. Le intercettazioni dell’operazione Rubino, dal nome del cane poliziotto che ha fiutato il carico più consistente, svelano il «linguaggio criptico» degli indagati. Pensavano di farla franca, parlando di «caffè», «prodotto» e «macchina» per indicare la droga, oppure di «amore» per chiedere la disponibilità dello stupefacente e di «documenti» riferendosi ai soldi. E invece gli investigatori della squadra mobile hanno dato un senso a quelle parole in codice e solo apparentemente fuori contesto.
I due gruppi criminali, soprattutto quello capeggiato dai fratelli Shametaj, le avevano pensate proprio tutte per evitare di finire in trappola. Preferivano gli sms, si scambiavano messaggi sulle chat di Viper, Skype e Facebook e spesso scattavano autentiche «operazioni di sicurezza, in quanto gli affiliati effettuavano delle bonifiche sulle autovetture in loro uso al fine di individuare eventuali apparati di localizzazione satellitare e di intercettazione ambientale», scrive il gip Giuseppe Romano Gargarella. Ma le «cautele» non finivano qui, perché decine di schede per i cellulari venivano intestate a persone fittizie o a cinesi, senegalesi e sudamericani. Eppure tutto questo non è stato sufficiente per coprire i traffici illegali. Anzi, sono state proprio le conversazioni telefoniche a incastrare i vertici delle organizzazioni. Elton Beharaj, ad esempio, si tradisce da solo quando ammette indirettamente di «rivestire la figura di trafficante internazionale, intraprendendo in prima persona i viaggi via mare dall’Albania all’Italia trasportando carichi di marijuana». Elton, infatti, dice al suo interlocutore: «A me non è possibile, gli ho detto, che rischio io così tanto, con la barca in acqua, una volta non siamo riusciti a caricarla, ci hanno inseguito i greci di là. Capisci. Io stavo in acqua, con la barca piena, con le borse». E ancora: «Ti ammazza la strada, il rischio, i soldi che ci butti. Ora stanno prendendo molti. Quelli con i gommoni li stanno tritando».
Nel novembre del 2016 una telefonata testimonia invece come Klajdi Kamberaj, corriere dell’organizzazione, abbia accettato di fare un viaggio in Lombardia con un’unica missione: portare i soldi a un cugino dei Beharaj per saldare una precedente fornitura di cocaina. Elton dà l’ordine: «Ecco, vai là, ti aspetta mio cugino, prendi pure 20mila euro con te e glieli dai. Il biglietto dell’autobus te lo paghiamo noi». Scrive il giudice: «Il vertice dell’organizzazione, ogni qualvolta si verificava un episodio che poteva mettere in pericolo la loro incolumità (arresti, sequestri e perquisizioni a carico degli associati), adottava immediatamente ogni contromisura atta a preservarla sostituendo, ad esempio, le autovetture e i telefoni in uso, nonché utilizzando il più sicuro mezzo di comunicazione di tipo Voip, difficilmente intercettabile».
Bushi Beharaj prova a tranquillare così il fratello: «No, non ce l’ho: io l’ho buttato da ieri sera il telefono, l’ho buttato qua sotto a un ponte». Ma non può sapere che anche il numero da cui parla in quel momento è sotto intercettazione. Una serie di messaggi, invece, dimostra «l’interscambio marijuana-cocaina» tra i fratelli Beharaj e la famiglia Caushi, che opera nella zona di Alba Adriatica. «E va bene», scrive Bushi, «quelle le do a lui, li scambio con la bianca».
Le caratteristiche dell’associazione criminale, è la conclusione del giudice Gargarella, «evidenziano la propensione alla violenza e comunque a metodi fortemente coercitivi». Emblematica è una conversazione tra Elton e Fatjon Shametaj. «Niente, ieri sera sono uscito con due amici ma non l’abbiamo trovato il figlio di p..., lavorava ad Ascoli», dice il secondo. «Colpiscilo», è il consiglio del primo, «ma non dove ci sono le telecamere». (g.let.)
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