La corte di Cassazione

CHIETI

Registrò le telefonate dei colleghi di lavoro, licenziato

La Cassazione conferma la massima sanzione disciplinare per un dipendente di una ditta di trasporti di San Giovanni Teatino

ROMA. Registrare le conversazioni che avvengono sul posto di lavoro tra colleghi, e a loro insaputa, «configura una grave violazione del diritto alla riservatezza» con conseguente legittimità del licenziamento del dipendente che compie questa «grave e intenzionale violazione dei principi di buona fede e correttezza». Lo sottolinea la Cassazione che ha confermato la perdita del posto di lavoro nei confronti di un magazziniere della Compagnia Trasporti Voluminosi, con sede a San Giovanni teatino (Chieti), che aveva registrato un colloquio tra due colleghi e una intera riunione aziendale al fine di denunciare il datore di lavoro per mobbing. Oltre al fatto che il mobbing non è stato provato, nel processo - ricorda la Cassazione - è stato dimostrato che il magazziniere era sì stato adibito anche all'esecuzione di mansioni inferiori al suo profilo professionale ma senza che gli fosse «precluso lo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica posseduta». Senza alcun successo, il lavoratore ha sostenuto che non poteva essere trasferito da un magazzino all'altro perché «la carica di consigliere comunale rivestita lo rendeva insuscettibile di trasferimento». L'obiezione non è stata tenuta in alcun conto e la suprema corte, con la  sentenza 11999,  ha convalidato il verdetto della corte di Appello dell'Aquila che, due anni fa, aveva sottolineato il «sostanziale disinteresse del lavoratore al rispetto dei doveri di riservatezza connessi all'obbligo di fedeltà e dei principi generali di correttezza e buona fede», oltre all'assenza di «comportamenti mobbizzanti». Il lavoratore licenziato, con lettera del novembre 2008, è stato anche condannato a pagare alla controparte 4mila euro di spese legali. Anche in primo grado, il Tribunale di Chieti aveva ritenuto corretta la massima sanzione disciplinare.