Riforma, ricercatori universitari al palo

Allarme per il disegno di legge Gelmini, gli studiosi minacciano il blocco della attività

CHIETI. Storia di carriere spezzate. Per anni hanno fatto ricerca e insegnato nelle aule degli atenei. I loro studi di settore hanno guadagnato l’interesse della comunità scientifica e le loro esperienze professionali viaggiato oltre oceano. Ora il disegno di legge del ministro Gelmini sulla riforma accademica, all’analisi delle commissioni parlamentari, rischia di bloccarne le carriere.

I ricercatori universitari non ci stanno e giovedì prossimo si riuniscono nell’ateneo teatino per decidere forme di protesta. Tra le ipotesi in campo c’è anche l’accettazione con riserva degli incarichi di insegnamento per il prossimo anno accademico. E’ l’anticamera per il blocco dell’attività didattica che svolgono. Il prologo di una sorta di secessione delle cattedre. Una scelta che in altri atenei hanno già maturato diversi ricercatori.

Giovedì in contemporanea a Roma ci sarà un’assemblea nazionale di categoria, i cui esiti potrebbero pesare sulle decisioni locali.
Nell’università «d’Annunzio» i ricercatori sono 310 e rappresentano oltre il 40 per cento del personale accademico complessivo. In alcune facoltà, come farmacia, sono il 70 per cento del personale docente. Ora si sentono al palo.
«Sono ricercatrice da 14 anni. Di fronte ho solo il buio».

Maria Cristina Curìa è una ricercatrice di patologia generale. I suoi studi cercano di capire meglio le cause genetiche a monte dei tumori ereditari e gastrointestinali. Curriculum di tutto rispetto, fatica quotidiana irrefrenabile. «Sono una ricercatrice anziana», continua, «in pratica sono nelle condizioni di poter ambire a un avanzamento di carriera ma, leggendo il testo del disegno di legge, sembra che mi trovi bloccata».

Le nuove norme introducono, tra le altre, una nuova figura di ricercatore a tempo determinato. Questo studioso potrà lavorare per un ateneo tre anni e vedere rinnovato il proprio contratto per massimo altri tre. Dopodiché potrà accedere a una valutazione per ottenere l’abilitazione scientifica nazionale. Questa rappresenterà l’unico trampolino di lancio per diventare professore associato e poi ordinario. In pratica sarà l’unica via per arrivare fino in fondo alla carriera universitaria. Il testo legislativo, in itinere al Parlamento, non chiarisce se all’abilitazione possano accedere, da subito, i ricercatori che oggi hanno già un contratto a tempo indeterminato negli atenei italiani.

«Nel disegno di legge», afferma Curìa, «almeno nel testo che fino ad ora conosciamo, non ci viene data la possibilità di accedere a questa abilitazione e di continuare, quindi, la nostra carriera».
Il Cun, consiglio universitario nazionale, ha offerto spunti al legislatore per fare chiarezza su questo punto.
Fino ad oggi sembra che non sia stato recepito nulla e in tutt’Italia dilaga la protesta del mondo accademico.

«Dispiace che vengano inserite disparità, senza ragione di esistere, tra figure quali il ricercatore a tempo determinato e quello a tempo indeterminato», osserva Giustino Orlando, ricercatore in farmacologia nella facoltà teatina di farmacia dal 2002, «tra l’altro l’assunzione del ricercatore a tempo determinato è vincolata al budget dell’ateneo e non si sa se ci saranno effettivamente le risorse economiche necessarie».
Blocco di carriere, dunque, ma anche, forse, di nuove assunzioni.

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