Avvocati in rivolta per le condizioni dello stabile. Nell'udienza del 17 giugno, con una altissima concentrazione di avvocati e testimoni, il giudice parlava affacciato alla finestra

Udienze civili sul balcone

L'ira degli avvocati: se il caso non si risolve sarebbe crisi

CHIETI. Udienze civili sul balcone. Le procedure esecutive, mobiliari e immobiliari, che da qualche mese si tengono nei locali di via Arniense, vecchio ospedale, vengono celebrate all'aria aperta, con gli avvocati che stilano i verbali appoggiati su un davanzale o sulle ginocchia. Nell'ultima udienza, quella del 17 giugno, si è superato il limite. Sul tavolo di discussione una esecuzione immobiliare molto delicata, con una altissima concentrazione di avvocati e testimoni e il giudice che parlava affacciato alla finestra.

Il trasferimento del settore civile nel vecchio ospedale di via Arniense, stabile di proprietà della Provincia, è stato causato dalla inagibilità di metà del palazzo di giustizia di piazza San Giustino, in seguito al terremoto del 6 aprile. Dopo le interrogazioni parlamentari del deputato del Pdl Daniele Toto, che al ministro guardasigilli ha chiesto una ispezione ministeriale negli uffici giudiziari teatini, stigmatizzando il disagio vissuto da utenti e operatori di giustizia, causa una scarsa organizzazione, ora scendono pesantemente in campo gli avvocati. Il presidente dell'ordine Pierluigi Tenaglia ha scritto una lettera al presidente del tribunale Geremia Spiniello.

«La gestione delle udienze civili nel plesso di via Arniense necessita di un urgente e tempestivo intervento di (ri)organizzazione», si legge, «laddove l'esperienza degli ultimi mesi ha dimostrato la inidoneità del criterio di gestione, segnatamente con riferimento alla trattazione delle materie: esecuzioni mobiliari e esecuzioni immobiliari». L'ordine forense evidenzia inoltre «il sovrabbondante numero di fascioli fissati per la trattazione nella medesima udienza, sottolineando la assoluta inidoneità degli attuali spazi ad essa riservati». Le toghe denunciano l'inesistenza di qualsivoglia criterio di chiamata del proprio fascicolo, criterio che, ove esistente, limiterebbe il numero di persone (avvocati, parti, testimoni ndr) costrette a una necessaria e forzata concentrazione».

«Quanto accade viene a ledere l'immagine e la dignità degli avvocati e quella della amministrazione della giustizia oltre a costituire un pregiudizio al sereno, corretto ed efficente esercizio della giurisdizione». Gli avvocati tra le altre cose chiedono il ripristino della aule in uso nell'immobile del tribunale per le udienze civili. Il caso non consente ulteriori attese, sottolinea l'ordine forense. «L'incertezza nell'affrontare il problema potrebbe costituire una irrimediabile crisi tra l'avvocatura e amministrazione della giustizia che certamente non si auspica»

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