Vasto, teschi e ossa riaffiorano sulla spiaggia di Punta Aderci

La scoperta di due cittadini mentre passeggiano in riva al mare nell’area dell’oasi. Resti umani emergono dal costone franato, nell’800 lì seppellivano i morti di tifo

VASTO. Scheletri a Punta Aderci. Riaffiorano resti umani sulla spiaggia della riserva vastese. Era il 17 marzo 2006 quando parte del suggestivo costone di Punta Aderci, a strapiombo sul mare, crolla in acqua per un fronte di circa 20 metri, staccandosi di netto e cambiando irrimediabilmente l’orografia della zona. Dieci anni dopo lo sperone continua a subire mutamenti al punto che stanno riaffiorando scheletri sepolti da secoli. A confermare il particolare è l’architetto Francesco Paolo D’Adamo.

«Qualche giorno fa mentre con Alfonso Zuccoletti, mio amico d’infanzia, visitavamo questo sito parlando tra un ricordo e l’altro, abbiamo notato ambiti scavati e, sotto un leggero strato di terra, parti che sembrano essere resti umani, scheletri», racconta D’Adamo mostrando il luogo. La zona non è lontana dal costone franato. Un angolo incontaminato vicino ad una delle spiagge più amate da vastesi e turisti. «Zuccoletti si è ricordato poi degli scheletri sepolti a Punta d’Erce 199 anni fa. Io, stranamente, avevo rimosso quel ricordo e lui, per farmi tornare la memoria mi ha fornito alcune foto».

Anche il Centro ha catturato con l’obiettivo, e grazie all’aiuto di Paolo D’Adamo, parte di uno scheletro che sta riaffiorando. La sensazione è che altri scheletri possano essere stati trascinati in mare dal dissesto morfologico o da eventi atmosferici. Ad avvalorare questa ipotesi ci sono sul costone buche e avvallamenti. Gli storici non sono affatto stupiti della presenza dei reperti.

«Ricordo di una epidemia di tifo nel 1817 e del fatto che il professore e storico Luigi Murolo possiede una copia della delibera con la quale, per motivi igienico sanitari, per paura del contagio, si autorizzava a seppellire in quel luogo i cadaveri», dice D’Adamo. «Non è affatto azzardato pensare che magari, stesi a prendere il sole o a guardare il mare, all’improvviso potremmo trovarci accanto un teschio», afferma sorridendo il professionista vastese. Quel che è certo, è che il passato sta tornando a galla. È già accaduto e potrebbe ripetersi. Nell’attuale sito della riserva di Punta d’Erce è stato possibile, nel Neolitico, insediare villaggi, porti e luoghi di sepoltura conseguenti all’epidemia di tifo petecchiale del 1817. Il tifo petecchiale provocò molte morti. Furono tutti seppelliti a Punta Aderci perché all’epoca era un luogo poco frequentato. Quel cimitero potrebbe essere a due passi dal mare. Del resto già dopo la frana di 10 anni fa, dal costone spezzato spuntarono fuori ossa umane. È evidente che per studiosi come D’Adamo andrebbe trovato un modo per valorizzare l’aspetto turistico dell’area senza intaccare quello storico. Anche il recupero e la valorizzazione del cimitero risalente al 1817 potrebbe essere una grande attrattiva per chi viene a visitare Vasto e le sue bellezze naturalistiche.

D’accordo con lui sono molti studiosi vastesi che da anni reclamano anche il recupero dell’area archeologica a ridosso della chiesa di Punta Penna e chiedono nuovi studi per ricercare la città sommersa che è al largo del promontorio della Penna. Considerati i tempi burocratici e la carenza di fondi è improbabile che possano essere avviate iniziative di recupero archeologico. L’auspicio è che se davvero dovesse spuntare fuori qualche teschio, possa essere recuperato e affidato a chi di dovere e non danneggiato.

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