Addio a Folco Quilici, ha raccontato la natura come un’avventura  

Ferrarese, aveva 87 anni. Con documentari, fotografie, film e libri sull’ambiente dal debutto nel 1949 ha insegnato agli italiani a guardare oltre l’orizzonte. Grande il suo amore per l'Abruzzo

Folco Quilici, morto ieri all’ospedale di Orvieto, è l’autore di decine e decine di serie di documentari televisivi, da “Malimba” a “L’alba dell'uomo”, da “Mediterraneo” a “Arcipelaghi” dagli anni '50 sino al 2010, oltre ad aver curato per Rai3 negli anni Settanta la rubrica “Geo”. Era molto legato all'Abruzzo, cui dedicò diversi documentari, l'ultimo dei quali "L'Abruzzo visto dal cielo" realizzato per la Rai. Amava molto il Parco nazionale, ed era orgoglioso dei premi vinti con i suoi libri a Scanno e ad Abbateggio (Premio Maiella).
Opere che lo hanno reso popolare a livello internazionale, tanto che la prestigiosa rivista Forbes lo dichiarò nel 2006 una delle cento firme più influenti al mondo per il suo lavoro sull’ambiente, grazie anche al una capacità di coinvolgere il pubblico, grandi e piccini, con la sua sorridente amabilità, il cercar di far capire senza mai montare in cattedra.
Per chi era ragazzo negli anni Sessanta, ma anche per chi è venuto dopo e l’ha potuto vedere, resta comunque l’autore di un film affascinante e poetico sulla perdita dell’armonia della natura con l'avanzare della civiltà, “Ti Koyo e il suo pescecane” (Premio Unesco per la Cultura del 1961), sull’incontro tra un ragazzino in un'isola della Polinesia e un piccolo squalo che si ritroveranno da adulti e collaboreranno nella pesca di ostriche perlifere, finché tutto sarà rovinato dall’invidia degli altri. Nato probabilmente girando nel 1957 “L'ultimo paradiso”, proprio tra quegli arcipelaghi del Pacifico, questo film resta un po’ il momento culminante del lavoro e della poetica di Quilici, che avrebbe compiuto 88 anni il 9 aprile, con la sua capacità di fondere narrazione e documentarismo, che era già in nuce nel suo primo lavoro di successo “Sesto continente” (Premio Speciale alla Mostra del Cinema di Venezia del 1954), grande documentario subacqueo sul mondo del mare girato in 130 giorni lungo le coste dell’Africa, che attirò l’attenzione per il suo rigore scientifico guidato da una curiosità senza sensazionalismi e banalizzazioni disneyane, ma unito a un senso dell’avventura e della scoperta.
Nato a Ferrara il 9 aprile 1930, figlio del giornalista Nello Quilici e dalla pittrice Emma Buzzacchi, crebbe scoprendo a appassionandosi al cinema avvicinato in modo amatoriale, finendo per specializzarsi in riprese sottomarine, con le quali debutta nel 1949 con “Pinne e arpioni”, girato in Sardegna. È in questo settore che la sua fama crescerà non solo in Italia, ma anche all’estero.
Nel suo lavoro, in cui ha avuto vicino sempre sua moglie Anna, ha cercato di avere accanto nomi di studiosi e scrittori di alto profilo. Per i tredici film della serie “Mediterraneo” e gli otto di “L’Uomo Europeo” Quilici si è avvalse della collaborazione dello storico Fernand Braudel e dell’antropologo Levi Strauss, come in altre occasioni ha chiesto commenti per le proprie immagini a Cesare Brandi, Italo Calvino, Guido Piovene, Ignazio Silone o Mario Soldati. Ha così collezionato mille riconoscimenti, che vanno, per citare i principali, dall’Orso d’Argento al festival di Berlino nel 1956 con “Ultimo Paradiso”, al David di Donatello e il Premio Speciale Festival di Taormina vinti con “Oceano” nel 1972, l’anno seguente di una candidatura all’Oscar per il documentario con quello dedicato alla Toscana della serie “L'Italia vista dal cielo”: 14 film girati in elicottero per tutto il Paese.
Accanto all’intensissima attività di documentarista, restano altri suoi film veri e propri d’avventura e di mare e molti libri, i tanti di viaggio, da “Sesto continente” (premio Marzotto 1955) a “Africa” (premio Estense nel 1993), ma anche romanzi come “Cacciatori di Navi” , “Cielo Verde”, e, del 1999 con “Alta Profondità”, la serie composta da “L'Abisso di Hatutu” , “Mare Rosso” (Premio Scanno nel 2003), “I Serpenti di Melqart”, “La Fenice del Bajkal”, poi libri per bambini, e in tutta la sua opera il suo amore per il mare e l’impegno verso l'ambiente e il pericolo che corre la nostra civiltà era sempre il motivo centrale. Senza dimenticare che ha operato sin da giovanissimo come fotografo, accumulando oltre un milione d’immagini a colori e in bianco e nero, ora affidate all'Archivio Alinari.
Quilici – che aveva girato tutto il mondo, sin nei posti più sperduti, specie negli anni dei suoi inizi, immergendosi negli abissi come levandosi in volo per documentare da punti di vista nuovi la bellezza del nostro mondo – se la prendeva con chi «oggi pretende di salvare il pianeta standosene comodamente seduto in poltrona e senza interrogarsi circa i propri consumi».
A proposito del proprio lavoro sosteneva che era «importante stringere rapporti con le persone che gravitano attorno alla storia che si intende raccontare, parlare con loro, costruire magari delle amicizie. Perché da queste persone ti arrivano punti di vista diversi sui fatti, sulla storia, sui personaggi, che possono essere spunti interessanti, materiale vivo che interessa te e poi lo spettatore».
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