Addio a Valentina Cortese, l’ultima vera diva  

Star mondiale, attraversa cinema e teatro tra Hollywood e Strehler da grande personaggio 

Era l’ultima grande diva italiana del cinema hollywoodiano anni ’40 del Novecento, poi nelle cronache artistiche e mondane milanesi sino a oggi, Valentina Cortese, scomparsa ieri a Milano a 96 anni, ma anche figura di spicco delle scene teatrali dalla fine degli anni '50, al momento del suo incontro e amore con Giorgio Strehler.
Lei, sempre così attrice, sempre attenta a creare un'aura di fascino attorno a sé, un vero personaggio, era figlia di ragazza madre, aveva origini povere e contadine che rivendicava come punto di riferimento e concretezza, con quel repentino passaggio dalle campagne lombarde appunto a Hollywood dove, a 25 anni, è sotto contratto con la 20th Century Fox e lavora con James Stewart e Spencer Tracy in Malesia (1949), viene diretta da Jules Dassin in I corsari della strada (1949), quindi è nel film La contessa scalza (1954) accanto ad Ava Gardner, Humphrey Bogart e Rossano Brazzi, e, al ritorno in Italia, Antonioni la vuole ne Le amiche (1955), grazie al quale vince uno dei suoi tre Nastro d'argento come migliore attrice non protagonista. Sarà anche Sverine, ritratto di una diva in decadenza in Effetto notte di Truffaut, che le valse nel 1973 la nomination agli Oscar e un Golden Globe.
Negli Usa torna per un ruolo in Quando muore una stella (1968) di Robert Aldrich, accanto a Kim Novak e Peter Finch. Al cinema aveva debuttato a 17 anni, aspettando di entrare all'Accademia, che poi non fece mai, in L’orizzonte dipinto di Salvini, facendosi notare 2 anni dopo, nel 1942, in La cena delle beffe di Alessandro Blasetti con Amedeo Nazzari.
Da lì il salto verso l’America e una notorietà internazionale che bisognerà aspettare la Loren per trovarne di eguale. E feste, e amori fortunati e sfortunati, e amicizie come quella con Chaplin (che la voleva protagonista nel 1952 per Luci della ribalta, ma lei era incinta del suo unico figlio Jackie Basehart, oggi attore) e che vanno da James Stewart a Cary Grant, da Paul Newman a Fred Astaire, il più divertente, agile e serio come lo ricorda nelle sue memorie “Quanti sono i domani passati” (Mondadori 2012). I suoi amori che hanno segnato passaggi della sua vita, sono, da ragazza, al debutto quello scandaloso col direttore d'orchestra Victor De Sabata, sposato e che aveva oltre 30 anni più di lei («l'incandescenza d'amore»), l’attore Richard Basehart (matrimonio sfortunato che l’allontanò dalle scene e da cui nacque un figlio), Giorgio Strehler («l’essere all’unisono, corpo e anima, sino nei particolari minimi e quotidiani») e Carlo De Angeli («L’amore maturo»). Al ritorno in Italia negli anni ’50 ecco il film di Antonioni, poi Barabba (’61) diretto da Fleischer con Anthony Quinn, la Mangano, Gassman e Borgnine, quindi in tv nei Buddenbrook di Edmo Fenoglio e con Fellini nel 1964 in Giulietta degli spiriti e nello stesso anno è assieme a Ingrid Bergman in La vendetta della signora. È in quel periodo che, portata al Piccolo di Milano da Paolo Grassi per Platonov di Cechov avviene l'incontro con Strehler che in teatro riconosce e esalterà le sue qualità di interprete drammatica perfezionista, attrice di temperamento e interiore assieme. Sono anni di passione e litigi, di mondanità e ritiri teatrali da cui nascono spettacoli che fanno storia. Attrice nata quindi, che pare avere seguito solo la sua vocazione naturale, ma anche personaggio, apparentemente mite ma con un bel piglio, è amante di toilette eleganti e vistose, la sua acconciatura col foulard sempre in testa a incorniciare il bel viso. Poi le sue case milanese e veneziana coi teatrali arredamenti e le mille foto a testimoniare la sua carriera e i suoi grandi incontri, i suoi ricevimenti sontuosi e tutto quell'insieme che la facevano definire dannunziana.