Carofiglio: i feroci anni Novanta nella mia “Estate fredda”

La violenza della mafia, la forza e i dubbi di un magistrato nell’ultimo intenso lavoro dello scrittore pugliese

CHIETI. «Eravamo ragazzi che volevano cambiare il mondo. Qualcuno pensava di farlo con la politica. A me sembrava che il modo migliore fosse diventare magistrato». Così si legge a pagina 128 dell’ultimo libro di Gianrico Carofiglio “L’estate fredda”, scrittore, politico ed ex magistrato, che ha combattuto e continua a combattere la mafia. A ricordare quelle righe è il vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Giovanni Legnini, ieri alla presentazione del libro assieme all’autore e al direttore del Centro Primo Di Nicola e a Luciano Dio Tizio (Wwf Abruzzo) al museo d’arte Costantino Barbella a Chieti in un salone gremito (il complesso sta ospitando anche la collezione Donazione Paglione).

Un momento dedicato alla riscoperta di una letteratura diversa, un incontro organizzato dalla Fondazione Immagine – Arte e Scienza di Alfredo e Teresita Paglione, con il Comitato cittadino per la salvaguardia e il rilancio di Chieti e la libreria De Luca. Quello di Carofiglio non è solo un romanzo che dà il via libera alla fantasia. Parla anche dell’esperienza dell’autore, magistrato dal 1986 fino a diventare Sostituto procuratore alla Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, che ha voluto raccontare un pezzo di storia del paese: quello delle stragi e della lotta contro la mafia dei primi anni Novanta. Poi l’esperienza politica nella quindicesima legislatura, quando è designato consulente della Commissione parlamentare Antimafia, fino al 2008, nel momento in cui è annunciata la sua candidatura al Senato per il Partito Democratico e poi eletto.

Carofiglio spiega come quel momento drammatico per la storia italiana, l’epoca che dal ’92 in poi ha visto il picco della violenza mafiosa, possa essere raccontato attraverso un linguaggio che parla con gli atti processuali: quelli che ricostruiranno le vicende di una Bari infuocata, tra agguati, uccisioni e casi di lupara bianca: «Le storie delle lotte al crimine, come nel caso di Palermo a quei tempi, anticipano un secondo atto del libro, quello in cui sono protagonisti i verbali, che fanno parte sì della storia del romanzo, ma che in ogni caso si rifanno a fatti realmente accaduti». Che come aveva già detto Gadda, continua Carofiglio «bisogna cercare di trasformare la lingua del diritto in lingua di scrittura». Una funzione che sembra essere oggi ancor più necessaria di ieri: «Quando nel 2008 Carofiglio era in senato colpiva a noi giornalisti per il suo look: percorreva i corridoi di palazzo Madama con uno zainetto. Forse bisognerebbe rileggere quell’intervista che rilasciò a Denise Pardo, battute che ricordavano l’importanza della chiarezza delle parole e che Carofiglio ricordava con forza. L’allora senatore divenne per tutti un vero e proprio marziano a Roma» ricorda Di Nicola. La chiarezza è fondamentale. Perché permette di comprendere quali rapporti i cittadini instaurano con il potere.

A cogliere questo aspetto è proprio l’ex senatore e ora vicepresidente del Csm Legnini, che dice: «Un libro bellissimo. C’è molto della sua esperienza da magistrato di cui non aveva mai parlato in altri suoi testi. Qui l’autore mette in scena un investigatore, il maresciallo Pietro Fenoglio. Attraverso la storia di quelle indagini emerge anche la virtù che un magistrato deve possedere: quella del dubbio, prima di intraprendere l’azione penale». Dalla strage di Capaci, ricorda Legnini «la magistratura e le forze dell’ordine del paese hanno raggiunto risultati straordinari. Ma la mafia cambia pelle e si rinnova. Non dobbiamo arretrare di un millimetro». E conclude Carofiglio: «Non dobbiamo credere ad una realtà manichea, dove ci sono i buoni e i cattivi ben distinti. Il “male” è sempre sembrato più adatto al racconto letterario, ma questo libro contiene anche una polemica indiretta verso una banalizzazione del genere. Bisogna esplorare le zone d’ombra della realtà. Grazie agli strumenti che oggi abbiamo per combattere la mafia, alla qualità degli agenti e all’esperienza accumulata, dagli anni ’90 si sono fatti grandi passi avanti. E questo mi fa dire: di lottare ne è valsa la pena».

Edoardo Raimondi

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