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Cartier-Bresson in mostra 140 scatti fra Scanno e il mondo

Il fotografo francese che tra il 1951 e il 1953 scattò foto bellissime in Abruzzo è il protagonista assoluto della grande personale allestita alla Villa Reale di Monza fino al 26 febbraio e curata da Denis Curti

PESCARA. Lo sguardo consapevole, la sensibilità e l'intuito, e quell'attenzione al dettaglio capace di cogliere la realtà storica e sociologica traducendola in un linguaggio semplice: è Henri Cartier-Bresson (1908-2004) il protagonista assoluto della grande personale allestita alla Villa Reale di Monza fino al 26 febbraio e curata da Denis Curti. Intitolata semplicemente “Henri Cartier-Bresson. Fotografo”, la mostra descrive la parabola umana e professionale di un grande maestro, autore di bellissime foto in bianco e nero a Scanno fra il 1951 e il 1953, che fu testimone della sua epoca, e insieme artista raffinato. Sono esposti al pubblico 140 scatti, tra cui l'immagine guida scelta per questa sua nuova rassegna, che ritrae la Stazione Saint Lazare di Parigi e che Cartier-Bresson realizzò ad appena 24 anni.

Considerato il pioniere del fotogiornalismo (insieme a Robert Capa, George Rodger, David Seymour e William Vandivert fondò nel 1947 la famosa agenzia Magnum Photos), Cartier-Bresson nel corso della lunga carriera non è mai venuto meno alla volontà di rappresentare la contemporaneità delle cose e della vita, cogliendone all'istante il tratto peculiare. Per questo è stato un fotografo destinato a restare immortale, che è riuscito a riscrivere il vocabolario della fotografia moderna influenzando intere generazioni di fotografi a venire.

«Fotografare è riconoscere un fatto nello stesso attimo e in una frazione di secondo organizzare con rigore le forme percepite visivamente che esprimono questo fatto e lo significano. È mettere sulla stessa linea di mira la mente, lo sguardo e il cuore», diceva Cartier-Bresson, teorico del “momento decisivo” in fotografia. E proprio con l'obiettivo di svelare le modalità in cui Cartier-Bresson utilizzava la fotocamera, intesa quasi come se fosse un'appendice del suo braccio e della sua mente, la mostra non scinde l'attività del fotografo dalla vita privata: nel percorso espositivo infatti appare evidente quanto ogni fatto da lui vissuto venisse poi utilizzato direttamente per cercare di raggiungere una maggiore comprensione della realtà, rendendola poi immortale in fotografia. Una realtà della quale Cartier-Bresson ha cercato (e trovato) anche i lati più nascosti, quelli apparentemente minimi o insignificanti, ma in grado di mostrare l'inconsueto e far nascere la meraviglia negli occhi di chi guarda.

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