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Cathy Marchand: «E' tempo di tornare al Living Theatre»

L'attrice francese che fece parte della compagnia di Julian Beck e Judith Malina è a Teramo per alcuni laboratori e uno spettacolo che andrà in scena domani

TERAMO. «Comunemente essere attore vuol dire interpretare, ma nella visione del Living vuol dire creare. Attore interprete, attore creatore, c'è una grande differenza».
A lezione di teatro con Cathy Marchand nella facoltà teramana di Scienze della comunicazione. L'artista francese, componente del Living Theatre dal 1978, è a Teramo in questi giorni, ospite di punta di Red - Residencies Experiments Directors, festival di teatro sperimentale organizzato da Acs/Abruzzo circuito spettacolo con università, Teatro Eliocentrico, La Mama, con la direzione artistica di Rolando Macrini e su impulso di Fabrizio Deriu, docente di Culture teatrali e performative. Marchand sarà in scena al Teatro Spazio Electa domani (ore 19) con "La valigia di Julian Beck", approdo del laboratorio teatrale che sta conducendo da ieri. Ieri mattina, con Macrini e Deriu e l'ausilio di alcuni frammenti filmati di spettacoli del Living Theatre, ha parlato agli studenti dell'esperienza del rivoluzionario gruppo teatrale d'avanguardia fondato nel 1947 a New York da Julian Beck e Judith Malina. Che adottarono come mentore Antonin Artaud e come ispirazione il suo teatro della crudeltà, inteso come assalto allo spettatore. «Un teatro che contamini gli spettatori, per coinvolgerli. Il Living Theatre riprende questa poetica di Artaud. All'inizio si fa teatro nella casa di Julian e Judith, in cui passa tutta la cultura alternativa, il musicista John Cage, artisti come Andy Warhol, scrittori e poeti della Beat Generation, Jack Kerouac, Gregory Corso, Allen Ginsberg, il danzatore e coreografo Merce Cunningham. Vengono dalla fine di una guerra orribile, hanno voglia di vivere, sperimentare, fare un teatro che non si parli addosso, che non sia d'élite».
Signora Marchand, quando è avvenuto il suo incontro con il Living?
«Nel 1978, avevo vent'anni e avevo appena finito la scuola con Jean Louis Barrault al Théâtre d'Orsay. Entrai nello spettacolo "Prometeo" al posto di un'attrice che andava via. Julian Beck mi chiese se volevo fare Isadora Duncan. Accettai con la naïveté che può avere una ventenne. Lì inizia il mio viaggio con loro. Che non finisce mai. Sono marchiata da loro. Quando sono entrata avevano la sede a Roma, in via Gaeta».
Com'erano i rapporti nel gruppo?
«La vita in una comunità di 22 persone era molto difficile. Per questo motivo io non abitavo a via Gaeta. Scoppiavano grandi passioni, amori, tensioni, non era semplice condividere la vita e il lavoro».
Alla scuola del grande Barrault, invece, come si era avvicinata?
«Avevo 14 anni. Un giorno vedo sul Boulevard Saint Germain una specie di angelo. Devo seguire quest'uomo, mi dico. Era Pierre Clementi. Mi iscrivo alla scuola di teatro solo per seguire questo Dionysus, che faceva uno spettacolo con Barrault. Da quell'incontro partì tutto. Pierre aveva già fatto "Belle de jour", aveva già lavorato con Andy Warhol, era già stato in prigione due anni in Italia per un po' di hashish e poi espulso. Io nasco borghese, per me lui fu la rivoluzione, il grande amore».
Il Living Theatre si è trasferito per anni in Francia e poi in Italia. Il suo teatro rivoluzionario era più apprezzato nel Vecchio Continente?
«Il boom della popolarità mondiale del Living parte nel '68 dalla Francia, dove già quattro anni prima, a Parigi, vede la luce "Misteries and Small Pieces", prima creazione collettiva del gruppo. L'Europa dà la spinta al Living. In America non c'era condivisione di questo tipo di teatro, tant'è che la retrospettiva dell'85 negli Stati Uniti fu quasi un flop. Invece l'esperienza del Living ha influenzato il teatro europeo, italiano in particolare. Un lavoro come "The Brig" del 1963 ha influenzato, col suo grido e smembramento dell'umano, il teatro di Carmelo Bene, Leo De Berardinis, della Societas Raffaello Sanzio. Pasolini, che non amava molto il teatro, ha amato molto il Living, al punto da chiamare Julian Beck a interpretare l'indovino cieco Tiresia nel film "Edipo re". Pasolini aveva visto nel Living una forma nuova di teatro, un essere veggenti, un guardare al di là. Subito dopo, sempre nel 1967, Julian deciderà di lavorare sull'Antigone di Brecht».
Oggi si può ancora parlare di sperimentazione a teatro?
«La vera sperimentazione si è interrotta nei primi anni Ottanta. Rifare il Living com'era è anacronistico, ma è importante conservare nell'attualità quel grido di rivolta, instillare negli spettatori un dubbio, dare alle giovani generazioni una chiave critica di lettura, svegliare le coscienze. Fare un teatro vivente, che faccia riflettere e sia anche atto poetico».
È questo che fa nei laboratori?
Dal 1993, alla Sapienza di Roma, ho iniziato a lavorare con gli studenti, con la meglio gioventù di questo Paese. Molti sono diventati attori, Carolina Crescentini, Vinicio Marchioni, Marco Foschi. Purtroppo dal 2008, con la crisi economica, le università hanno chiuso laboratori e stage, ed è iniziata anche la grande diserzione degli studenti, forse per disincanto verso il teatro, forse per la convinzione che si possa diventare subito ricchi e famosi con un talent, senza fatica studio sudore».
Nell'era Trump riprenderà quota il teatro politico?
«Un Living Theatre prettamente americano si è mobilitato ogni giorno, con azioni di strada a Wall Street, in Times Square, riprendendo il teatro di guerriglia. Forse c'è bisogno di tornare al grido di Antigone contro il tiranno».
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