L'AQUILA

Colapietra, intervista ricordo: l’intellettuale solitario che non accettava compromessi 

In un articolo di 5 anni fa lo storico aquilano allora 86enne, parlò dei suoi scritti ammirati (e temuti) ben oltre i confini abruzzesi. «Non ho mai insistito per avere onori e incarichi. Anzi spesso ho fatto passi indietro»

In occasione della sua morte, vogliamo ricordare Raffaele Colapietra con un'intervista che il professore rilasciò 5 anni fa a Giustino Parisse.

Chi vuole avventurarsi nella storia del Mezzogiorno d'Italia in età moderna e contemporanea non può prescindere dai suoi studi, chi vuole capire meglio il pensiero di alcuni grandi del Novecento – da Croce a Salvemini – non può fare a meno dei suoi scritti, una miriade di amanti della storia locale si sono tuffati nei suoi libri alla ricerca di spunti e fonti d'archivio per svelare vicende di piccoli e grandi borghi della nostra regione. Raffaele Colapietra, 86 anni, è oggi l'intellettuale abruzzese vivente più citato, studiato, apprezzato non solo in Abruzzo ma in tutta Italia e anche oltre. La sua libertà intellettuale è riconosciuta (e temuta) da tutti. Conosce benissimo greco, latino, francese, inglese. Si districa senza problemi anche con lo spagnolo e il tedesco. Una vera eccellenza. Eppure non ha avuto mai particolari encomi o riconoscimenti. È sempre restato fuori, a volte per sua scelta, da quei circuiti universitari e culturali in cui ci si premia e ci si loda (e a volte sbroda) a vicenda. Vive quasi da eremita nella sua casa in via Castello all'Aquila. E' un socialista che non si è mai voluto far ingabbiare. Un po' come Silone: senza chiesa e senza partito. L'intervista che segue è la sintesi estrema di un'ora e mezza di colloquio: mente lucidissima, ricordi vivi e vivaci, oratoria ammaliante. Con Colapietra non ci si annoia mai.
Professore lei nasce all'Aquila nel 1931 in pieno regime fascista. Durante la guerra era un adolescente. Che ricordi ha di quel periodo?
Sì sono nato all'Aquila, mio padre era pugliese e aveva vinto un concorso come medico all'ospedale psichiatrico di Collemaggio. Conobbe mia madre che aveva iniziato giovanissima a lavorare nell'Intendenza di finanza. Lavoro che poi lasciò. Si sposarono e nel novembre del 1931 nacqui io, unico figlio. Ricordo molto bene il periodo della mia infanzia e adolescenza. Mi è rimasto impresso per esempio il rito della messa mattutina, la domenica al Duomo, con tutti i gerarchi fascisti locali schierati in prima fila. E poi la guerra. Mi informavo leggendo i giornali. Ascoltavo con i miei genitori Radio Londra e ricordo che prendevo appunti sulle cose che venivano dette. Un giorno i tedeschi vennero a fare una perquisizione in casa nostra, per fortuna non trovarono quegli appunti se no chissà che fine ci avrebbero fatto fare.
Come è maturata la sua passione per la storia?
Lessi tutto d’un fiato il Corso di storia per i Licei di Pietro Silva. Me ne innamorai e di fatto lo imparai a memoria, lo conoscevo talmente bene che negli anni successivi non ebbi la necessità di andarmelo a riguardare. Ma la mia formazione si deve anche alla letteratura. Dai classici greci e latini a Shakespeare di cui ho letto praticamente tutto. Omero lo rileggo ancora, in greco.
Lei ha collaborato fin dalla fondazione con la rivista Il Mulino, ancora adesso pubblicazione prestigiosa, che però lasciò alla fine degli anni Cinquanta. Che accadde?
Accadde che io ero socialista e quindi quello che scrivevo non sempre rientrava nella linea editoriale della rivista. In seguito ho collaborato con alcune importanti riviste dei Comunisti – che pur sapevano bene che non ero organico al loro mondo – ma anche dei cattolici con i quali ho sempre avuto un rapporto fecondo. E poi sui quotidiani, per esempio il Paese, Paese Sera, il Giornale che era un quotidiano finanziato dal Banco di Napoli ma abbastanza indipendente.
Altro rapporto travagliato lei lo ha avuto con il mondo universitario. A 59 anni decise di lasciare l'università di Salerno e tornarsene in pianta stabile all'Aquila. Perché?
Guardi io non ho mai insistito per avere onori e incarichi. Anzi spesso ho fatto passi indietro. A Salerno a metà degli anni Settanta partecipai a un concorso per cattedra. Andò male, il posto lo vinse un altro perché quel concorso fu, per dirla gentilmente, “calcolato”. A quel punto decisi che quel mondo non faceva per me, sono rimasto a Salerno – ma molto defilato – per altri 15 anni poi appena ne ho avuta la possibilità me ne sono andato. E non è stata la prima volta che ho fatto passi indietro.
Professore non mi dica che si sente un perdente?
Guardi le dirò una cosa banale. Io non ho mai avuto la patente. E sa perché? Perché feci l'esame e non lo superai. Avrei potuto rifarlo altre mille volte. Mi dissi: se non l'ho superato significa che la patente non fa per me e non l'ho mai più presa.
Qual è stato il suo rapporto con il mondo femminile?
Travagliato. Pensi che oggi qualcuno potrebbe definirmi uno stalker.
In che senso?
Nel 1955 mi innamorai pazzamente e mi fidanzai con una ragazza aquilana. Lei a un certo punto mi mollò per un tipo che non aveva certo intenzioni serie e infatti dopo qualche tempo anche lei fu mollata. Io feci l'impossibile, e dico l'impossibile, per riconquistarla ma non ci fu niente da fare. Lei poi si è sposata e ha fatto la sua vita. Dopo il terremoto mi ha cercato e ci siamo amichevolmente risentiti ma ormai eravamo fuori tempo massimo.
E con sua moglie?
Mi sono sposato con una donna bellissima e sottolineo bellissima. Purtroppo è stato un matrimonio infelice, è durato sei o sette anni. Ci siamo lasciati – anche se formalmente siamo ancora sposati – proprio nel periodo in cui ero entrato in crisi anche con l'Università di Salerno.
Oggi lei vive a Piediluco vicino Terni, ha compiuto da poco 80 anni, ogni tanto ci sentiamo al telefono. Mai tentato dalla politica?
Se intendiamo politica come poltrone ho sempre preferito restarne alla larga. Ho ricevuto una sola volta l'offerta da parte di esponenti di Rifondazione comunista di candidarmi al parlamento. Ho scritto loro una lettera per ringraziarli del pensiero, ma ho detto no. Non vado più a votare da decenni, ma forse tornerò a farlo adesso.
Quali sono oggi le sue passioni ?
Leggo molto, ho donato i miei circa seimila libri alla biblioteca Tommasi che ha un fondo “Colapietra”. Ogni tanto vado lì e riprendo uno o due dei miei libri e li leggo a casa o dove capita. Potrei leggere pure dentro uno stadio stracolmo di gente e non perdere la concentrazione. Ne porto uno sempre con me (e tira fuori dalla tasca un volume di Guido Oldrini “L'Idealismo italiano fra Napoli e l'Europa” ndr)
E oltre alla lettura e ai suoi studi?
Beh il calcio, che io considero il gioco più stupido del mondo ma che mi appassiona, ho tutti i canali che trasmettono le partite. Se avessi il potere di farlo però cambierei le regole. Le partite dovrebbe essere vinte ai punti, come nella boxe e non con i soli gol. Se uno prende un palo, una traversa o un incrocio, è abile più di quello che va in gol per un rimpallo o una casualità. Ma credo che nessuno mi darà retta.
L'Italia fuori dai mondiali, le è dispiaciuto?
Mah! (segue alzata di spalle ndr). Non ho mai tifato per una squadra in particolare e meno ancora per la Nazionale.
Come sono le sue giornate?
Mi dedico alle passioni che le ho detto. Mangio solo a pranzo, da anni non ceno e poi dormo molto bene e faccio bei sogni. Per esempio sogno mio padre con il quale in vita non ho avuto un rapporto idilliaco. Non scrivo più, se me li chiedono detto i miei testi. Sta per uscire un libro con una mia intervista sulla storia d'Abruzzo curata dal professor Umberto Dante. Credo sia venuta una buona cosa. Lo presenteremo a marzo.
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