L'AQUILA

Franca Valeri: «Che bella L’Aquila. Colta e spiritosa, un po’ come me»

L'intervista in occasione della consegna della Laurea honoris causa: «Chissà  se la merito, tanti studiano e non la ottengono»

L’AQUILA. Gli occhi vispi riempiono i vuoti lasciati, tra una parola e l’altra, dalla voce tremula. Neanche la sedia a rotelle, a cui è costretta «dopo una stupida caduta di tre mesi fa che per farsi ricordare mi ha rotto cinque costole», toglie nulla all’eleganza e al garbo di Franca Valeri, a cui ieri l’Università dell’Aquila ha voluto consegnare la laurea honoris causa in Studi letterari e culturali dalle mani della rettrice, Paola Inverardi.

L'Aquila, l'attrice Franca Valeri riceve la laurea honoris causa
L'attrice Franca Valeri ha ricevuto dall'Università degli Studi dell'Aquila la laurea honoris causa in Studi letterari e culturali. In questo video di Raniero Pizzi, il rettore Paola Inverardi legge le motivazioni del conferimento.

La Signorina Snob della televisione italiana alias Sora Cecioni, 96 anni, quasi cinquanta pellicole al suo attivo, attrice di teatro e cinema, scrittrice e registra, è stata l’ospite d’onore di uno degli ultimi Dialoghi sul cinema organizzati da L’Aquila Film Festival, in occasione della presentazione del libro dell’avezzanese Adriano Emi “Franca Valeri: l’opera e il mito”. Un’occasione per raccontare la sua vita e la sua arte al pubblico aquilano, grazie alla mediazione del professor Massimo Fusillo, e commentare la proiezione del film del 1962 “Parigi o cara” di Vittorio Caprioli, suo ex marito.


Che si prova a ricevere un così importante riconoscimento?


«Provo stupore prima di tutto perché mi domando se lo merito. Molti ragazzi studiano, vanno all’università, ma non riescono a raggiungere questo traguardo. Io non ci sono mai andata e ho già due lauree. Quando ero ragazza ho sostenuto un solo esame all’università, di Estetica, con una ottima votazione, ma studiando a casa mia, perché ero fissata che volevo recitare. Sai che quando si ha una vocazione è come diventare matti? Non puoi fare altro. Io volevo appartenere al teatro e ci sono riuscita. Ecco, così mi sono accaparrata queste lauree, grazie al teatro. Questa poi è meravigliosa! Non so se me l'avrebbero data se non fossi stata attrice famosa».
 

Cos’è per lei il teatro?


«Ho scritto adesso un libro in cui immagino il teatro come una persona con cui sono sempre stata amica. Un signore un po’ vecchio ormai, simpatico, che mi sgrida di tanto in tanto. Un uomo che ti protegge, ti accompagna, ti fa capire se ti vuole a casa sua. Ma questo libro l'ho intitolato “La stanza dei gatti”, perché i miei gatti sono come degli attori: si conoscono, si amano, si odiano qualche volta, ma stanno insieme. La prima commedia che ho scritto, “Le catacombe, mi ha fatto capire cos’ è il successo. Come puoi resistere fisicamente ai colpi che ti dà. Da allora sono rimasta attaccata a questa carriera bellissima».
 

Prima di oggi, quale è stato negli anni il suo rapporto con l’Abruzzo?


«Sono venuta in Abruzzo con i miei spettacoli più volte. Avevo dei carissimi amici aquilani: il mio avvocato e suo fratello, che era uno scrittore. Mi volevano bene e quando venivo stavo a casa loro. Non ho mai voluto vedere questa città dopo il terremoto. Oggi forse è un po’ raffazzonata, ma era una città molto bella. Penso che sia stato veramente un dolore per tutti gli italiani il terremoto che vi ha colpito».
 

Cosa ricorda di questa città prima del 2009?


«Ricordo gli alberghi, la piazza. Una città storica. Questa occasione mi ha offerto la gioia di rivedere L’Aquila che non avevo più voluto incontrare dopo le vicende atroci. Ora la rivedo e mi torna il senso di cultura che mi ha sempre trasmesso. È un città che ama la bellezza ed era bella lei stessa. Spero che torni presto come prima: splendida e modesta, colta e spiritosa. Come infondo sono anch’io».


Quale dei suoi personaggi vedrebbe bene qui, stasera?


«Forse la Signorina Snob. In fondo, rifacendomi ai miei amici, gli aquilani sono piuttosto signori, anche forse un po' snob. C’è passione per la cultura, è una città che non ha niente di volgare».


Che ne pensa del libro che viene presentato stasera e che parla della sua vita?


«Nel libro ci sono anche delle cose che mi riguardano che non sapevo. E’ talmente minuzioso, su tutta la mia attività, che me l’ha fatta conoscere. A partire dal nome derivato da un grande scrittore, Paul Valery, i cui figli una volta mi hanno chiesto se eravamo parenti e io ho risposto di sì. Amo la letteratura francese con cui sono cresciuta, leggendo. Questo libro è stato davvero un regalo».


Lei è un’amante della lettura e anche una scrittrice (è in uscita il suo 11° libro). Cosa pensa della letteratura contemporanea?


«È una tale meraviglia l’uso della lingua! Penso che la lingua francese sia bellissima, però anche la nostra mi sforzo di usarla bene perché mi dispiace farne l’uso che se ne fa adesso. Non c’è uno scrittore che non metta delle parolacce nel proprio libro. Possono anche essere parte del linguaggio, ma l’uso che si fa della lingua che è riprovevole. Tutti parlano male eppure abbiamo una bella lingua a casa nostra. Bisognerebbe riscoprirla».


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