Gli sguardi randagi di De André 

Un libro fotografico di Guido Harari racconta il pubblico e il privato dell’artista

Fabrizio De André, dentro e oltre il suo sguardo. Lo raccontano, a vent'anni dalla morte, le oltre 300 fotografie tra colori e bianco e nero di Guido Harari raccolte nel libro “Fabrizio De André. Sguardi randagi”, pubblicato da Rizzoli (256 pagine, 45 euro) con la prefazione di Cristiano De André e la postfazione di Dori Ghezzi. «Che effetto fa a me rivedere le foto del passato? È come ripercorrere le emozioni che ci hanno accompagnato lungo la nostra vita, soprattutto se a fissarle è la sensibilità di Guido Harari, maestro di quell'arte speciale che cattura il miracolo della natura di quel sorriso unico, quello sguardo unico e irripetibile, generato dallo stato d'animo di un momento, risultato dell'alchimia che mescola i vari sentimenti di un preciso istante: serenità, amore o sofferenza, preoccupazione, disillusione, imbarazzo o complicità, rendendo così immortale un sentimento che altrimenti sarebbe soltanto (il) passato», dice Dori nella postfazione.
A Fabrizio «non piaceva farsi fotografare» ma Harari, che per quasi vent'anni è stato uno dei fotografi personali di De André al quale ha dedicato diversi libri, è riuscito a catturare il vero sguardo del poeta, del cantautore e dell'uomo, è stato capace di cogliere e «accettare il ticchettio della sua intelligenza, assecondando i suoi tempi, le manie, le esigenze, procedendo per piccoli spostamenti creativi, da un'idea all'altra, o proprio senza nessuna idea». Si è formato così un libro «fuori dagli schemi», di «sguardi rubati, sull'onda dell'estro del momento, dentro e oltre l'ufficialità», come dice Harari che ha aperto il suo archivio per la prima volta integralmente, ma dove si sente soprattutto tutta la forza delle parole di Fabrizio. Tra gli inediti un ritratto di Fabrizio realizzato sulla scia di una foto del Nobel portoghese José Saramago. «Fabrizio s'era invaghito di un ritratto che avevo fatto ad uno dei nostri autori preferiti, il portoghese José Saramago, di cui gli avevo regalato una stampa. Mi spiazzò domandandomi di realizzargliene uno uguale», racconta Harari che scattò «pochi rullini, rimasti fino ad oggi inediti: è che, sottratto a una qualunque atmosfera, Fabrizio sembrava spegnersi nel puro gioco estetico che lui stesso aveva richiesto».
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